I mapuche invitano al dialogo Sebastian Pià±era

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Nella collina Nielol di Temuco, circondata dalla foresta indigena, si sta svolgendo un vertice delle comunità  mapuche del Cile, la più grande popolazione originaria fra gli otto gruppi riconosciuti nel paese. I mapuche – letteralmente “gente della terra” nella lingua mapudungun – rappresentano l’87% della popolazione indigena complessiva e determinano l’origine di quasi il 9% dei 17 milioni di cileni. Solo il 40% vive nei territori ancestrali, il 60% risiede nelle aree urbane.
Nella regione dell’Araucania, dove si svolge il vertice, la comunità  rappresenta un terzo della popolazione locale. Dalla fine del XX secolo, a seguito della cosiddetta Campagna di pacificazione dell’Araucania, decisa dal governo, i mapuce furono confinati in un 5% dell’intera regione, dislocati lungo il fiume Bio-Bio. Intorno a Temuco vivono circa 3.000 comunità , perennemente in lotta contro latifondisti e imprese forestali che saccheggiano i loro territori in quella che è considerata la principale zona forestale del paese.
La rivendicazione delle terre ancestrali, l’autonomia del popolo e la smilitarizzazione dell’Araucania sono i temi al centro delle discussioni, indette dal Consejo de Todas las Tierras. Agli incontri è stato invitato anche il presidente del Cile, il miliardario Sebastian Pià±era, che non ha mai smesso di usare la mano pesante contro il movimento servendosi della legislazione “antiterrorista”, rimasta intatta dai tempi del dittatore Augusto Pinochet. Su questa base, i mapuche vengono condannati a pene spropositate, le comunità  denunciano arresti indiscriminati, violenze e processi sommari, e dichiarazioni di testimoni mascherati che i difensori non possono contestare. Ieri, Pià±era non si è fatto vedere, e questo è stato considerato dai mapuche «un disinteresse al dialogo». Come «osservatori» sono stati inviati i governatori di Malleco e Cautin, incaricati di «accogliere le proposte».
L’incontro fa seguito a un inizio d’anno particolarmente caldo, per via di un incendio mortale alla proprietà  di un latifondista, l’ex militare in pensione Wermer Luchsinger. Le proteste mapuche sono ricominciate il 3 gennaio, nel quinto anniversario della morte dello studente Matias Catrileo, ucciso dai proiettili della polizia durante un’occupazione di terre nel 2008. Finora, sono stati uccisi tre ragazzi dalla polizia, l’ultimo, Jaime Mendoza Collio, nel 2009.
Dopo gli scontri, vi sono stati cinque arresti. Fra questi, Celestino Cordova, autorità  religiosa e leader comunitario, preso dopo l’incendio e accusato di omicidio in quanto risulterebbe ferito da un proiettile dello stesso calibro di quello sparato dalla pistola di Luchsinger. Cordova si dichiara innocente, ma il pubblico ministero ha già  invocato le famose misure antiterroriste, mentre Pinera – che si è recato personalmente nella regione – ha parlato della necessità  di sferrare un «attacco frontale contro il terrorismo». E subito le comunità  della regione hanno denunciato irruzioni di massa e brutalità  da parte dei carabineros. Nelle ultime decadi, sono oltre 400 gli attivisti accusati in base alla legislazione di emergenza, e in carcere i detenuti mapuche – che nel 2011 hanno effettuato uno sciopero della fame di 88 giorni – sono una cinquantina. Solo nel 2012, la magistratura regionale ha registrato 300 procedimenti relativi al conflitto mapuche, quasi un 78% in più del 2011.
Quando il Cile era colonia spagnola, i mapuche occupavano circa 10 milioni di ettari nel centro-sud del paese. Oggi, impoveriti e discriminati, privati delle terre invase dalle agenzie minerarie e forestali che spesso confiscano l’accesso all’acqua, vedono la propria situazione peggiorare di giorno in giorno. Durante la riforma agraria del presidente Salvador Allende (1970-1973) ottennero un recupero parziale dei territori, ma il regime militare che spazzò via la democrazia allendista e che insanguinò il paese fino al 1990, riportò l’orologio indietro anche per i mapuche, che contano circa 300 morti e desaparecidos durante la dittatura. La ley Indà­gena 19.253, promulgata nel ’93 dal governo di Patricio Aylwin ha disposto nuovamente la restituzione delle terre, ma non di tutte quelle reclamate dai mapuche. Il governo di Ricardo Lagos (2000-2005) promise di restituire 150.000 ettari, ma solo 30.000 sono tornate ai mapuche, che lottano per una proprietà  collettiva e comunitaria. E il problema rimane drammaticamente aperto.


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