Il Ppe in mezzo al guado dopo le scintille sull’Italia

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BRUXELLES — «Ma davvero dobbiamo essere noi, a dirvi se vi conviene acquistare Messi o Ronaldo?». Un grido esausto si leva dal loggione, dai corridoi ovattati del Partito popolare europeo, 270 deputati e 52 partiti di 27 Paesi rappresentati nell’Europarlamento: e l’invocazione è rivolta all’Italia. Qui adesso vige in teoria la consegna del no comment, le bocche sono cucite dopo le ultime scintille fra il capogruppo Joseph Daul e Silvio Berlusconi («Daul? Evidentemente ha delle sue mire personali, vorrà  compiacere qualcuno in vista di una sua possibile carriera»). No comment, dunque, come ha annunciato lo stesso Daul. Soprattutto, nessuno fra i «non-italiani» si azzarda più a dire se Mario Monti sia o no il candidato preferito dai popolari europei per governare il Bel Paese. Ma c’è sconcerto, disagio. E uno spagnolo fumantino riassume così il sentimento di molti: «Come nell’ultimo conflitto mondiale: gli italiani entrano in guerra con uno ed escono con un altro, applaudono felici Mario Mauro che passa con Monti come applaudivano Mauro quand’era con Berlusconi. E viceversa, naturalmente. Però le elezioni sono vostre, noi non possiamo togliervi le castagne dal fuoco…».
Naturalmente non è così semplice, e la spaccatura italiana non riguarda solo gli italiani ma anche l’animo profondo, i sentimenti dell’intero Ppe. Al quale vengono ora proposte due opzioni tricolori: quella dei «montiani» che si dicono «più vicini all’Europa», si riconoscono appunto nel Professore non iscritto al Ppe, e lodano il fiscal compact; e poi l’altra proposta, quella dell’ala destra Pdl, che sbeffeggia la paura dello spread, promette meno austerità , ogni tanto accenna a un complotto «franco-tedesco» e ha un leader che assicura di essere stato «temuto» da una certa Europa. Anche a lasciar da parte lo scontro Berlusconi-Monti-Daul, come tutti chiedono, per quale delle due opzioni parteggia oggi il Ppe? Se lo si domanda al tedesco Elmar Brok, membro dell’ufficio di presidenza del partito, consigliere di Angela Merkel e presidente della Commissione affari esteri dell’Europarlamento, per lui la risposta traluce dalla situazione attuale della Ue: «Il peggio è dietro di noi, abbiamo recuperato nel consolidamento dei bilanci e nella competitività : lo ha fatto anche l’Italia, come la Spagna o altri Paesi del Sud-Europa. Ma dalla crisi non siamo ancora fuori, ci vogliono riforme strutturali e quella combinazione di crescita e consolidamento su cui tutti concordano. Insomma, dobbiamo essere prudenti. Faccia un po’ lei…». Come dire, decifrando il linguaggio diplomatico: se la locomotiva ricomincia a tirare, non è davvero il momento delle rischiose baruffe romane. Ma la spaccatura nel Pdl-Ppe? «Siete, siamo, in un periodo di transizione. La gente è guardinga, si guarda intorno passo per passo. Aspettiamo il dopo-elezioni, e tutto sarà  più chiaro». Berlusconi, Daul, Monti? «Ho buoni rapporti con tutti loro»: e per sibillina che sia, è la frase che nel Ppe abbottonato ripetono oggi in coro. Oltre alle elezioni italiane, all’orizzonte ci sono anche quelle europee, troppi equilibri sono in movimento. E in fondo anche Angela Merkel, che con Brok parla spesso, sembra rafforzare il discorso sulla «transizione» che impone a tutti prudenza e serietà : «La cancelliera è ottimista, vede il progresso considerevole che è stato fatto, ma sa bene che questa non è la fine del tunnel».
«Auguri, allegria!». Così Berlusconi salutava il congresso del Ppe, a Bonn, il 10 dicembre 2009, proprio davanti ad Angela Merkel. Aveva appena raccontato una barzelletta sul «più intelligente d’Europa», cioè se stesso, «premier super forte e con le palle». Si era preso un po’ in giro, risate e applausi. «C’è un aereo con 4 passeggeri: Obama, il più potente del mondo, il Papa, Berlusconi il più intelligente d’Europa…». Ieri, nei piani alti del Ppe qualcuno ha ritirato fuori il video. Sembrava girato trent’anni fa.


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