La ricetta di Ambrosoli: una banca della Lombardia

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MILANO — Una banca regionale per rilanciare lo sviluppo, e poi legalità , trasparenza, Europa, diritti, ticket sanitari da rendere «progressivi». «Forte perché libero», scandisce l’avvocato Umberto Ambrosoli davanti al pienone del Dal Verme, il teatro che a Milano ha consacrato Giuliano Pisapia e in tempi più recenti Matteo Renzi. Il sold out in sala (duemila persone) e fuori (una coda lunghissima per entrare e centinaia di persone rimaste alla fine in strada) non nasconde la verità  evidente a tutti: la strada s’è messa in salita.
«Non temo Roberto Maroni né Gabriele Albertini; sono uguali, entrambi rappresentano la continuità  con il passato», attacca allora l’avvocato prima di salire sul palco: «La folla che si è radunata qui dimostra la volontà  di cambiamento». L’obiettivo è evidente: esorcizzare la paura. L’incubo che dopo 18 anni di formigonismo la palla non arrivi nel tuo campo e passi direttamente da quello della Lega e che la Lombardia sprofondi in Padania, che nella versione aggiornata di Maroni prende il nome di macroregione europea.
Vietato ammetterlo, ma la ritrovata alleanza tra il Carroccio e Berlusconi sta turbando molti sonni dalle parti del centrosinistra lombardo. E poi il rientro all’ovile di Formigoni e dei suoi, Comunione e liberazione che respinge la tentazione albertinian-montiana per rimanere ancorata al carro berlusconiano. «Loro stanno con chi vince», sospira preoccupato qualcuno.
Segnali allarmanti. Che almeno in casa pd non vengono sottovalutati. Non sarà  infatti una coincidenza se meno di 24 ore dopo l’annuncio dell’accordo di Arcore per Maroni presidente sia arrivata la notizia che Maurizio Martina, segretario regionale del partito, non prenderà  la strada per Roma (Bersani gli aveva proposto di guidare la lista alla Camera, in Lombardia 2) per rimanere al fianco del candidato governatore, pronto a diventarne il numero due in caso di conquista del Pirellone.
E non è nemmeno una casualità  che intorno all’appuntamento di ieri sera del Dal Verme sia scattato il tam tam delle grandi occasioni. Il sindaco Giuliano Pisapia in prima fila, Lella Costa, Roberto Vecchioni sul palco, tanti volti noti della Milano «colta, civile, democratica» sparsi in platea. Da Gad Lerner a Umberto Eco, fino a Davide Van De Sfroos, il cantautore dialettale che tanto piaceva alla Lega. Si sono visti anche i giovani, per una volta, con i volontari e le loro magliette bianche a fare un po’ d’effetto scout.
Non bastassero le cattive notizie arrivate da Arcore e dintorni, il candidato «civico» si trova ora a fare i conti con qualche grana pure nel suo campo. I Radicali, per dire, stanno per salutare la compagnia e «flirtano» ormai apertamente con Gabriele Albertini, nel frattempo rimasto orfano di Cl. «I partiti del centrosinistra non ci hanno voluto», puntano il dito Marco Cappato e soci.
Ambrosoli ha invece annunciato di aver già  chiuso la sua lista civica. I candidati, tutti i candidati, si ritroveranno in Val Brembana, dal 25 al 27 gennaio, «per un seminario di studio e di approfondimento». Dovranno poi controfirmare un codice di comportamento elaborato dal costituzionalista Valerio Onida. Il candidato «civico» dovrà  così dichiarare di «non concorrere a deliberare assegnazione di somme dal bilancio regionale per attività  politiche individuali o collettive».
Ma anche «di operare nella vita privata nel rispetto della sicurezza e della libertà  della dignità  umana, nel dovere di fedeltà  fiscale, “con disciplina e onore” come suggeriscono gli articoli 41, 53 e 54 della Costituzione».


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