Poveri, giovani e stranieri nell’agenda del presidente

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Per il Colle c’è una «questione sociale» che i politici non possono più ignorare L’ultimo del settennato deve essere stato l’anno più difficile per Giorgio Napolitano, non solo per la sconfitta politica della mancata nuova legge elettorale o per le feroci polemiche sulla cosiddetta trattativa stato-mafia. Il presidente della Repubblica, prima del congedo e dei saluti di rito di fine anno alle italiane e agli italiani, l’altra sera ha chiuso il suo ultimo discorso con un’esortazione che sembra quasi disperata: «La politica non deve però ridursi a conflitto cieco o mera contesa per il potere, senza rispetto per il bene comune e senza qualità  morale».
Ci crede ancora Napolitano? Il suo ruolo e la sua storia glielo impongono, eppure nel suo discorso il presidente della Repubblica ha fatto una diagnosi del paese che a tratti è sembrata disperata, indicando quali sono i nodi drammatici che proprio la politica non è stata in grado di affrontare. Sono temi enormi che, se non a chiacchiere, non rientrano nell’agenda di nessuna forza politica. Per questo suona ancora più imbarazzante il plauso bipartisan di tutti coloro che si sono riconosciuti nelle parole di Napolitano. Gli italiani, ha detto il presidente, sono diventati più poveri e per questo «dobbiamo parlare non più di disagio sociale, ma come in altri momenti storici, di una vera e propria questione sociale». Capiscono i politici di cosa sta parlando? La questione sociale dovrebbe essere sufficientemente chiara, eppure il presidente ha chiesto un surplus di comprensione, quasi un’adesione di tipo sentimentale, come a dire che fino ad ora non si sono intraviste risposte adeguate: «La politica, soprattutto, non può affermare il suo ruolo se le manca questo sentimento, questa capacità  di condivisione umana e morale». Pochi istanti prima aveva parlato di due milioni di minori che vivono in famiglie relativamente povere e di persone che non riescono a vivere con una pensione minima, o dopo aver perso il lavoro a 40 anni. Napolitano, ovviamente, ha rivendicato la «necessità » delle politiche economiche del governo Monti ma per il futuro – anzi, «subito» – ha chiesto una migliore distribuzione dello sforzo di risanamento, «definendo in modo meno indiscriminato e automatico sia gli inasprimenti fiscali sia i tagli alla spesa pubblica». Esattamente il contrario di quello che hanno fatto i «tecnici».
Per il presidente, inoltre, «i giovani hanno ragioni da vendere nei confronti dei partiti e dei governi per vicende degli ultimi decenni» (dunque non salva né centrodestra né centrosinistra); e se è comprensibile la loro indignazione, perché «sono loro che hanno più motivi per essere aspramente polemici nel prendere atto di pesanti errori e ritardi», bisogna però che insieme alla rabbia si manifesti anche «la volontà  di partecipare a un moto di cambiamento». Nella politica, ci crede.
Ma le parole più decise, con accenti quasi indignati, Napolitano le riserva alla questione (epocale) più ignorata da tutta la classe politica italiana, e soprattutto dal governo dei «tecnici», che l’ha rimossa come se addirittura non esistesse: l’immigrazione. Il presidente vorrebbe un paese accogliente e aperto, insomma un altro paese: «Già  un anno fa avevamo 420 mila minori extracomunitari nati in Italia – è concepibile che, dopo essere cresciuti ed essersi formati qui, restino stranieri in Italia? E’ concepibile che profughi cui è stato riconosciuto l’asilo vengano abbandonati nelle condizioni che un grande giornale internazionale ha giorni fa – amaramente per noi – documentato e denunciato?». Il riferimento è al reportage del New York Times sul «Salaam Palace» di Roma dove da anni vivono ammassati centinaia di profughi, per gli americani quello è il simbolo del fallimento italiano nell’accoglienza degli immigrati – solo perché non si sono ancora spinti sulle coste di Lampedusa dove continuamente affiorano cadaveri di esseri umani.
E, per definire il quadro desolante, e continuare a «suggerire» temi da infilare in qualche agenda di partito entro il 24 febbraio, Napolitano ha anche aggiunto che bisogna fare altro e di più «contro lo stillicidio di barbare uccisioni di donne nel nostro paese», e che «più che mai dato persistente di inciviltà  da sradicare in Italia rimane la realtà  angosciosa delle carceri». Detto questo, «a voi tutti, buon 2013!».


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