Quei trenta senatori per avere un ruolo-chiave

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Il Professore dovrà  prendere trenta al Senato per potersi laureare alle elezioni. Trenta sono infatti i seggi che gli consentirebbero di essere determinante nella formazione della maggioranza a Palazzo Madama.
È questa la linea del Piave di Monti, la sua trincea, il numero che lo divide dal trionfo o dalla disfatta. Perciò dovrà  attestarsi a «quota 15%», perché arretrando rischierebbe di diventare irrilevante se Berlusconi fosse in grado di vincere la battaglia del Quadrilatero, se riuscisse cioè a conquistare, oltre al Lombardo-Veneto, anche la Sicilia e la Campania. Così il Cavaliere trasformerebbe in vittoria la sconfitta che per lui si profila alla Camera, e grazie ai premi di maggioranza in quelle quattro regioni non consentirebbe a Bersani di formare il governo senza i suoi voti.
La sfida delle urne sta tutta qui, è descritta in uno studio che il premier e i suoi alleati hanno analizzato, una mappa che i numeri hanno trasformato in una zona di guerra, dove sono dispiegate le forze in campo e il loro peso. In questa «simulazione di distribuzione dei seggi per il Senato» vengono prese in esame «diverse ipotesi di vittoria delle coalizioni». E non è un caso se il report si sofferma solo su tre casi.
Il primo contempla la vittoria del centrosinistra in tutte le regioni, tranne la Lombardia, il Veneto e la Sicilia assegnate al centrodestra. Con questo scenario Bersani arriverebbe a 148 senatori, restando dieci seggi sotto la maggioranza. I trenta montiani sarebbero fondamentali per garantire il varo dell’esecutivo, e renderebbero marginali i 106 senatori del Cavaliere. Il Professore sarebbe ancor più determinante nel caso in cui Berlusconi conquistasse l’intero Quadrilatero, aggiungendo la Campania alla Sicilia e al Lombardo-Veneto, e arrivando a 116 seggi contro i 138 di Bersani.
C’è dunque un motivo se nei giorni scorsi Casini, in una conversazione riservata, ha commentato con una battuta la «rimonta» del Cavaliere: «Meno male che è risalito un po’ nei sondaggi, altrimenti il centrosinistra avrebbe vinto anche al Senato». Ma la confidenza disvela una preoccupazione latente, che poi è tema di dibattito nel Pdl e nel Pd. Come si comporterà  Monti in campagna elettorale? Riuscirà  ad espandere il proprio consenso? O quantomeno, sarà  in grado di tenere le posizioni di qui alle urne? Perché la terza proiezione spiega che il premier non può arretrare dalla linea di trincea del 15%: in quel caso otterrebbe solo venti seggi al Senato, e se Berlusconi conquistasse le quattro regioni chiave rovescerebbe il risultato della sfida.
Per il centrosinistra si rinnoverebbe l’incubo del 2006: i 138 senatori di Bersani e i venti di Monti arriverebbero infatti a stento alla quota necessaria per la maggioranza, ed è chiaro che non basterebbero, che l’ingovernabilità  potrebbe essere scongiurata a Palazzo Madama solo dall’appoggio dei 126 voti del centrodestra. Stretto nella morsa delle due maggiori forze politiche, salterebbe così il disegno del Professore e anche quello del leader democratico. Ecco perché il Cavaliere sta puntando tutto su quelle quattro regioni, ecco perché — pur di rendere marginale Monti — invita gli elettori a dare il loro voto «al Pd piuttosto che agli altri partiti».
C’è nel Cavaliere — come dicono i suoi stessi avversari — una «feroce determinazione» nel perseguire l’obiettivo: «I tempi sono stretti ma noi siamo abituati ai miracoli», dice Berlusconi. È tutto da vedere se riuscirà  nell’impresa. A far da contrappeso c’è però qualche esitazione del Professore, che ha insinuato timori e perplessità  negli alleati. Sono dubbi dettati dall’impostazione della campagna elettorale e dalle carenze organizzative della sua struttura, se è vero che il premier ha dovuto chiedere aiuto a un «professionista della politica» come il segretario dell’Udc Cesa per raccogliere le firme necessarie alla presentazione delle liste.
Se Monti non facesse trenta, Berlusconi farebbe trentuno. Lo s’intuisce dal modo in cui parla di Bersani, «persona molto simpatica»: «Ricordo quando venne a trovarmi in clinica dopo che ero stato colpito al viso alla manifestazione di Milano. Con grande naturalezza mi prese la mano e parlammo per venti minuti. Da allora conservo di lui un buon ricordo. Ogni tanto fa il duro, ma io al massimo della durezza rispondo che è un uomo del vecchio apparato». Sembra un brano del libro cuore, è l’approccio di chi nel 2006 — appena aperte le urne — propose a Prodi un governo di larghe intese. Perciò Bersani confida che Monti resista, anche se — a leggere le tre simulazioni — il Professore si sarà  reso conto che non sarebbe il capo di un terzo polo ma il leader di una quarta forza. Perché in quei report Grillo ha sempre e comunque 31 seggi.
Francesco Verderami


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