Super-tangenti per gli autobus via fedelissimo di Alemanno

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C’è un pentito che da un mese parla con il pm Paolo Ielo e rischia di trascinare nel baratro quella che lui chiama la «lobby Roma». Il sistema della Capitale. È l’ultimo colpo di scena in una storia che dalla fine di settembre, quando ci furono le perquisizioni disposte dalla procura di Roma, a oggi, ha agitato il sindaco Alemanno e il suo entourage. Un sistema in cui gli amici di “Gianni” fanno il buono e il cattivo tempo, indicando i parenti da assumere nelle municipalizzate e facilitando appalti in cambio di mazzette.
È il caso dei 45 filobus da fornire a Roma Metropolitane, un affare che la Breda Menarini voleva a tutti i costi (l’azienda di Bologna era in difficoltà  economiche). E per il quale Riccardo Mancini, amministratore delegato di Eur Spa (ente che gestisce il patrimonio immobiliare del quartiere a sud di Roma) e vicinissimo al sindaco, è finito sotto inchiesta con l’accusa di corruzione e frode fiscale insieme all’amministratore delegato di Breda, Roberto Ceraudo. Quest’ultimo avrebbe versato al manger romano una mazzetta da 500 mila euro, il prezzo da pagare perché Mancini si facesse promotore di quell’assegnazione.
Una vicenda che a settembre era ancora poco chiara, ma che ora sembra dipanarsi, tanto che nei giorni scorsi il pm Paolo Ielo ha chiesto e ottenuto l’arresto dell’ad di Breda. Segnale che il cerchio si sta stringendo proprio intorno al sindaco e ai suoi: non sarà  un caso che proprio ieri Mancini abbia rassegnato le dimissioni dal vertice di Eur Spa.
Ma nella storia, ora, spunta una figura importante. Il suo nome è Edoardo D’Incà  Levis, ebreo nato a Verona ma residente dalla metà  degli anni Settanta a Praga. È stato lui il facilitatore della mazzetta, l’uomo che, addirittura, ha messo nero su bianco “il sistema Roma”. “L’aiuto locale” che doveva essere pagato e sul quale non si potevano fare sconti. Una “lobby” di cui il faccendiere sta, giorno dopo giorno, descrivendo confini e dettagli.
Gli inquirenti lo intercettano nel corso delle indagini: i motori per i filobus sono forniti da Breda, ma la carrozzeria è Skoda, azienda ceca, non a caso. È lui a curare il business con Ceraudo, a prevedere una ricompensa per i “favori di Roma”. A dicembre, D’Incà  Levis viene arrestato a Praga e a gennaio viene estradato a Roma.
È allora che inizia a raccontare agli inquietanti retroscena del sistema.
Parole che vengono confermate da una mail trovata dai finanzieri del tributario nel suo pc. È il 10 aprile del 2008: D’Incà  Levis riassume all’ad di Breda il costo dell’affare e prevede 7mila euro di mazzetta per ognuno dei 45 mezzi. Una voce che viene inserita nel budget con una precisazione: su quella cifra non si fanno sconti. I piani prevedono 315 mila euro di tangente che, però, questo il parere degli investigatori, col passare del tempo lievitano, arrivando a 500/600 mila euro. E che vengono messi da parte grazie a una serie di false fatturazioni su conti esteri poi “spallonati”, cash, in Italia. Duecentomila euro vengono trovati, nel giorno delle perquisizioni, nella cassetta di sicurezza di Ceraudo che, tra l’altro, aveva cercato in tutti i modi di far sparire le chiavi. Che si tratti proprio del contante della mazzetta, è più che un sospetto: i numeri delle banconote sono seriali e consecutivi. Gli altri 300 mila dovrebbero essere finiti direttamente nelle tasche di chi aveva propiziato l’appalto da Roma: Riccardo Mancini. Uno del “sistema Roma”, appunto.


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