Così il Papa ha messo fine alla guerra di potere nella Curia

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ROMA — Joseph Ratzinger si annulla per il bene della Chiesa. È il seme che marcisce per poter dare frutto. Il frutto di una guida vigorosa della barca di Pietro che sappia tirarla fuori dalla tempesta in uno dei momenti più tormentati della sua storia recente. Rottura clamorosa certamente dettata da ragioni più alte. Ma che avrà  inevitabili conseguenze anche sullo scontro molto terreno tra i gruppi di potere nella Chiesa. Rottura che comunque potrebbe mettere fine alle pagine difficili di questi ultimi anni oltre le mura vaticane. Azzerando gli scontri tra il cardinale Bertone e una parte della Curia, forse relegandoli di colpo nel passato se la biografia del nuovo successore di Pietro sarà  distante, com’è possibile, dall’aria pesante che si è respirata in questi ultimi mesi nei palazzi apostolici. E tagliare le ali ai corvi, azzerando i protagonisti di uno scontro che in certi momenti ha travalicato i limiti dell’accettabile. È successo quando gli anonimi hanno scelto di attaccare il Segretario di Stato per colpire più in alto. Con un maggiordomo che per difendersi dall’accusa di aver divulgato lettere private del Papa, affermava di averlo fatto per difendere Benedetto XVI. Difenderlo da chi?
Sono questi gli interrogativi che hanno agitato la Chiesa nella difficile transizione del dopo Wojtyla. Ratzinger era stato eletto proprio per guidare quella transizione nel nome della continuità  e dell’ortodossia. Si disse che fosse lui l’uomo sul quale puntavano i polacchi e l’ala più conservatrice della Curia, quella che aveva retto il timone della barca petrina nei lunghi anni che in Italia avevano coinciso con la presidenza della Cei affidata a Camillo Ruini. Ma Ratzinger, una volta diventato Benedetto XVI, ha subito mostrato la sua autonomia da quella Curia che pure conosce molto bene. Un’autonomia pagata con i sarcasmi curiali all’indomani della gaffe di Ratisbona, quando un discorso scritto di suo pugno, senza passare dal vaglio degli uffici vaticani, aveva scatenato l’ira del mondo islamico.
In poco tempo quella Curia che era stato il luogo del suo governo nei lunghi anni alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede (quando comunque aveva continuato ad avere rapporti stretti soprattutto con i tedeschi), era diventata un mondo se non apertamente ostile, certamente meno empatico. La nomina di Tarcisio Bertone, suo segretario alla Congregazione, alla guida della Segreteria di Stato era stata letta come il tentativo di trovare un braccio destro in grado di rafforzarlo anche nei confronti di quelle ostilità  inespresse. Un tandem certamente singolare, quello tra il salesiano piemontese pieno di senso pratico e il raffinato teologo tedesco. Un tandem che in certi momenti ha mostrato qualche crepa. Bertone, nominato Segretario di Stato, si è inimicato a sua volta una fetta di Curia sostituendo gradualmente gli uomini vicini al suo predecessore, un altro piemontese, l’astigiano Angelo Sodano, oggi decano del Collegio cardinalizio.
La sostituzione dello stesso Bertone per raggiunti limiti di età  è stato uno dei nodi rimasti insoluti con le dimissioni di Ratzinger. Il 2 dicembre scorso il Segretario di Stato ha compiuto 78 anni raggiungendo l’età  che aveva portato alle dimissioni Sodano. Come si sarebbe comportato Benedetto XVI? Avrebbe potuto continuare a rifiutare le dimissioni offerte dal Segretario di Stato come aveva fatto, almeno formalmente, il 15 gennaio di tre anni fa? E, se le avesse accettate, quale tra i diversi gruppi che si confrontano al vertice della Chiesa sarebbe uscito vincitore nella scelta?
Il nodo non sciolto sarà  certamente uno dei punti chiave del prossimo Conclave. Lo scontro interno vede una Curia divisa tra i difensori della tradizione wojtyliana e gli uomini scelti da Ratzinger: Bertone e il presidente della Cei Angelo Bagnasco. Personaggi diversi e non sempre in sintonia ma oggi spinti ad allearsi nell’eccezionalità  del momento. A fare da mediatore tra i due gruppi il cardinale di Milano, Angelo Scola. Forse non casualmente nel fronte dei conciliari, tradizionalmente l’area più aperta al rinnovamento, ci sono due personaggi messi da Ratzinger alla guida di importanti istituzioni come il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso (il cardinale francese Jean Luis Pierra Tauran) e il Pontificio Consiglio per la Famiglia retto da monsignor Vincenzo Paglia, l’autore della recente apertura sui diritti delle coppie gay. Anche qui a far da pontiere tra i conciliaristi e l’area vicina a Bertone e Bagnasco c’è un vescovo milanese, l’emerito Dionigi Tettamanzi, successore di Martini alla guida della chiesa ambrosiana. Ciò che era stato diviso durante il pontificato di Benedetto XVI rimarrà  diviso durante il Conclave e i giorni che lo precederanno.


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