La Corte costituzionale boccia la nuova legge elettorale

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La Corte costituzionale ha bocciato cinque articoli della legge elettorale egiziana. La sentenza fa ripartire l’iter di approvazione della norma da parte della Camera alta (Shura) che ha acquisito pieni poteri legislativi in seguito al referendum costituzionale dello scorso dicembre. Già  nel giugno del 2012 la Corte costituzionale aveva disposto la cancellazione del Moghles Shaab, l’Assemblea del popolo, per incostituzionalità  della legge elettorale. Il presidente Morsi si era espresso in seguito per la cancellazione della decisione insieme alla revisione della dichiarazione costituzionale aggiuntiva voluta dalla giunta militare che di fatto limitava i suoi poteri decisionali. La Camera egiziana è di fatto sciolta dallo scorso giugno. Ma il conflitto di attribuzioni tra istituzioni resta aperto. Gli articoli contestati riguardano la formazione delle circoscrizioni e il numero di seggi attribuiti ai singoli governatorati, secondo i giudici costituzionali, non proporzionali alla popolazione locale. Nella precedente sentenza, la Corte aveva evidenziato irregolarità  nella formazione delle liste elettorali, in particolare alcuni candidati indipendenti erano in realtà  affiliati a partiti politici. Il provvedimento potrebbe determinare lo slittamento delle elezioni parlamentari previste per aprile. La legge elettorale aveva suscitato gravi critiche anche tra i movimenti di opposizione per la scarsa rappresentatività  accordata alle minoranze religiose e alle donne.
La crisi egiziana resta nel vivo non solo per le decisioni della Corte. Ma anche per le gravi tensioni conseguenti alla sentenza che ha portato alla condanna a morte per la strage di Port Said avvenuta il due febbraio 2012. I lavoratori di alcune fabbriche di Port Said sono in sciopero per protestare contro la sentenza. Le richieste dei manifestanti sono di aprire un’inchiesta sulle decine di vittime degli scontri scoppiati intorno al carcere di Port Said in seguito all’annuncio del verdetto. Il corteo ha attraversato le principali vie della città  da piazza Shohada lungo via 23 luglio fino a via Saad Zaghloul. Tra i manifestanti c’erano i familiari delle vittime dei giorni scorsi insieme ai tifosi della squadra dell’al-Masry. Tra i sostenitori del club di Port Said si contano alcuni tra i condannati per il massacro dell’anno scorso. I manifestanti hanno chiesto anche le dimissioni del responsabile delle forze di polizia locali e che ai morti sia riconosciuto lo status di martiri, nonostante le morti siano avvenute durante la presidenza di Mohammed Mori.
Infine, sono arrivate ieri due defezioni nell’entourage del presidente Morsi dai movimenti salafiti. Khaled Alam El-Din e Bassam el-Zarqa, due politici del partito radicale el-Nour, tra i consiglieri di Morsi hanno rassegnato le dimissioni. Il primo è stato rimosso dal suo incarico per sospetti nei «suoi metodi» di lavoro come consigliere all’ambiente. È quanto ha dichiarato il portavoce di Morsi in una conferenza stampa Yasser Ali. El-Zarqa ha rassegnato le dimissioni come conseguenza della rimozione di Alam el-Din. Mentre ieri è stato emesso un mandato di arresto per lo sheykh Abu Ismail, proprietario dell’emittente televisiva al-Ummah, perché nei suoi sermoni ha «giustificato» stupri e violenze sessuali contro le donne.
Ancora una volta, l’accidentato percorso di transizione egiziano si ferma sulla legge elettorale, uno dei mezzi più incisivi con i quali la giunta militare aveva assicurato il successo islamista in occasione delle elezioni parlamentari del 2011.


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