La mossa della taiwanese Foxconn solo per prevenire le lotte operaie

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PECHINO. I sindacati eletti dai lavoratori, alla Foxconn. L’azienda taiwanese, che produce le forniture elettroniche anche per la Apple, alcune settimane fa è tornata a far parlare di sé. Foxconn, lavoro e Apple costituiscono un trittico che raramente non finisce sulle pagine dei giornali, locali e internazionali. Se poi la notizia riguarda la possibilità  di avere delle elezioni attraverso le quali i lavoratori cinesi potranno eleggere i propri rappresentanti sindacali, al trittico si aggiunge il quarto termine, quello più morboso in Occidente: democrazia. Processo democratico, rivoluzione democratica?
Secondo il parere dei rappresentanti sindacali delle regioni nelle quali l’azienda opera e secondo i pochi portavoce della Foxconn che hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali, si tratterebbe solo di un «ammodernamento» delle attuali procedure di rappresentanza sindacale. La Foxconn «ha stabilito un programma dettagliato del processo elettorale sotto la guida della federazione dei sindacati. Ogni processo dalla presentazione dei candidati, alla notifica pubblica finale del voto è chiaramente soggetto alle leggi e ai regolamenti cinesi», ha puntualizzato all’agenzia di stampa Xinhua Gu Cheng, capo del dipartimento della General Federation of the Trade Union a Shenzhen (GFTUSC), nel Guangdong. Stando anche al comunicato della Foxconn, dopo che la notizia di elezioni dei sindacati era stata diffusa dal Financial Times e ripresa da tutti i media internazionali, «le metodologie di elezioni dei rappresentanti dei dipendenti, si basano sul processo elettorale del sindacato e sono in linea con le leggi del lavoro. Il procedimento è stato lanciato nel 2008 dopo la creazione della prima organizzazione sindacale dell’azienda, la Foxconn Federation of Labor Unions nel 2007».
Dove starebbe dunque la novità ? È minima: si cercheranno di favorire le possibilità  di elezione per i più giovani, che costituiscono ormai una larga parte della forza lavoratrice della Foxconn (oltre 1 milione di lavoratori in Cina, di cui 400 mila solo a Shenzen).
Secondo le nuove modalità  infatti, «un team ad hoc, dopo aver discusso con tutti i lavoratori, consentirà  di eleggere anonimamente i candidati del sindacato. Questa lista dei candidati sarà  distribuita al fine di ottenere le opinioni di tutti, per cinque giorni lavorativi. Il numero di membri provenienti dalla linea di produzione non potrà  essere inferiore a tre».
Una mossa quindi più di comunicazione e un tentativo, insieme, di intercettare quella massa di giovani lavoratori, che negli ultimi tempi hanno causato numerosi problemi alla Foxconn, tra suicidi, scioperi, rivolte, risse nate anche da una bazzecola, ma che si tramutavano ben presto in aperto scontro sociale. Il sindacato cinese (ACTFU), unico e praticamente organo di controllo politico del Partito, non ha alcuna legittimità  agli occhi dei giovani lavoratori cinesi, anzi.
La mentalità  di questa nuova forza lavoro cinese, chiamata Xinshengdai nongmingong, ovvero la nuova generazione di lavoratori migranti nati dopo gli anni 80, è infatti ormai ancorata alla diffusione dei nuovi media, del cellulare, di internet. Più pronti quindi a lanciare un flash mob che estenuarsi in una tattica e sfibrante contrattazione sindacale.
La mossa di Foxconn sa tanto di tentativo estremo di placare le proteste e tentare una via di conciliazione, piuttosto che un’estensione dei diritti dei lavoratori, per il quali l’azienda taiwanese non si è certo mai distinta nella sua storia. Come suggerisce il portavoce del China Labour Bulletin di Hong Kong, una ong da tempo impegnata a informare sule lotte dei lavoratori cinesi, «la mossa della Foxconn per ampliare e democratizzare il sindacato aziendale è ovviamente un passo nella giusta direzione, ma è un piccolo segnale che deve essere seguito da molte altre decisioni più consistenti se il sindacato vuole veramente diventare una organizzazione in grado di rappresentare davvero i diritti e gli interessi dei lavoratori».
Già  perché come nel caso di Wukan e in tanti altri della recente storia cinese, alle parole non sempre seguono i fatti. La Foxconn, concedendo il beneficio del dubbio, potrebbe davvero dare vita ad una nuova fase nel mondo del lavoro cinese, ma solo se a questo tipo di processi, seguiranno aggiornamenti anche nella cultura aziendale, rispetto ai diritti dei lavoratori. Come specifica Crothall, del China Labour Bulletin, «non ha senso avere elezioni sindacali se il capo si rifiuta ancora di parlare con il sindacato. Così, perché questa riforma possa avere senso, Foxconn dovrà  accettare il sindacato come partner paritario nella contrattazione collettiva per risolvere i conflitti e migliorare le condizioni salariali e lavorative. Ciò richiederà  un massiccio investimento nella cultura aziendale Foxconn, che finora è stata una società  molto autoritaria, sempre alla ricerca di una cieca obbedienza da parte dei lavoratori».


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