Mediaset, protesta dei legali Il processo a dopo il voto

Loading

MILANO — In 20 anni di processi a Silvio Berlusconi questa ancora mancava: il riconoscente baciamano con inchino dell’avvocato-parlamentare Niccolò Ghedini al procuratore generale Laura Bertolé Viale, ieri destinataria di cotanta galanteria sol per essersi associata ai vari avvocati del processo Mediaset nell’invitare la Corte d’Appello a fare marcia indietro sull’appena negato a Berlusconi «legittimo impedimento» elettorale, e a farlo per ripristinare «una serenità  che da questa aula è andata via» (avvocato Nadia Alecci) e rimediare a «un clima che in queste condizioni non aiuta nessuno di noi» (appunto la pg Bertolé Viale).
Così, nella bolgia di una udienza balcanica, i legali Ghedini e Longo abbandonano l’udienza senza nominare sostituti nella difesa di Berlusconi condannato in primo grado a 4 anni per frode fiscale, i difensori degli altri coimputati se ne vanno polemicamente lasciando in sostituzione per tutti solo la giovane sostituta processuale Alessandra Capalbo, e alla fine la partita finisce due a zero per il Cavaliere: che da un lato ne fa carburante elettorale, e dall’altro guadagna lo stesso ciò che vuole, e cioè che la prevista requisitoria non si tenga.
La Corte, sotto pressione della rivolta dei legali, ripiega infatti su uno slittamento dell’udienza all’8 febbraio visto che «i difensori chiedono un rinvio per conferire con i propri assistiti sulla revoca del mandato»; e anticipa che comunque il processo si farà  dopo elezioni, in quattro sabati a partire dal 2 marzo. Ma l’arretramento non placa Berlusconi («la situazione della giustizia italiana è una patologia della democrazia di cui dovremo prioritariamente occuparci quando saremo al governo»), il segretario pdl Alfano («intervenga il presidente del Csm, cioè il capo dello Stato»), i presidenti del Senato Schifani («increscioso l’accaduto a Milano») e della Camera Fini («francamente non capisco il no all’impedimento»). I giudici Galli-Scarlini-Minici avevano ritenuto che l’addotta riunione romana di Berlusconi con gli europarlamentari del Pdl, per discutere della politica europea da esporre in campagna elettorale, non costituisse «legittimo impedimento» all’udienza fissata da tempo in quanto «non è impegno di governo, istituzionale o legislativo»; «non risulta direttamente attinente alla campagna elettorale»; «non è rappresentata alcuna valida ragione della sua indifferibilità »; e «nemmeno risulta indicata la data della convocazione» proveniente dalla segreteria dell’imputato «con ampi margini di discrezionalità ». Per la Corte si imponeva pertanto l’applicazione della sentenza 23/11 della Corte Costituzionale sul «necessario coordinamento degli impegni dell’imputato con il calendario stabilito per il processo, secondo un principio di leale collaborazione funzionale al contemperamento dei contrapposti interessi».
«Non possiamo legittimare con la nostra presenza questa grave lesione dei diritti di difesa», insorgono Ghedini e Longo, che all’inizio avevano persino consegnato un elenco degli impegni tv del candidato premier fino al voto («i palinsesti delle emittenti non vengono fatti in base alle esigenze del candidato, se non si va si perde la possibilità  di partecipare»), e che avevano anche fatto aleggiare (pur stavolta non formalizzandolo) il proprio «impedimento» di candidati pdl pure in campagna elettorale.
«Siano i miei pari (cioè l’Ordine degli Avvocati di Padova, ndr) a giudicare se la mia condotta meriti ammonimento», declama Longo mentre abbandona l’udienza con Ghedini, che alla Corte rimprovera: «Voi ci chiedete leale collaborazione ma non la offrite, non spostate il calendario di un millimetro neanche a prescrizione congelata, pretendete che il cittadino Berlusconi debba rinunciare a 6 giorni su 26 di campagna elettorale (3 udienze e 3 al processo Ruby). Disattendendo la volontà  dell’imputato e dei legali di partecipare al processo, dimostrate che esso ha una strada già  segnata nella condanna. Ma allora noi siamo inutili: dateci una sentenza e andremo in Cassazione, anche se sappiamo che pure questa nostra decisione di abbandonare avrà  un evidente strepito mediatico che inciderà  negativamente sulla campagna elettorale, così come avrebbe inciso la requisitoria». Ghedini si congeda mirando alla presidente Alessandra Galli: «Le istituzioni meritano rispetto, come Lei presidente ebbe già  a dire in polemica con l’allora ministro Alfano, però istituzioni siete voi magistrati ma siamo anche noi avvocati»: il riferimento è alle parole che una delle due figlie magistrato di Guido Galli, giudice ucciso da Prima Linea nel 1980, pronunciò («Non riesco ad accettare la costante denigrazione del suo e ora del mio lavoro») davanti ad Alfano nel «Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo» al Quirinale nel 2010.


Related Articles

Lo spazio tra le parole e i fatti

Loading

Una classe politica non è sempre il riflesso del paese, non solo perché, come ben sappiamo, i sistemi elettorali possono facilmente falsarla, ma anche perché è molto probabile che dopo la sua investitura elettorale le opinioni dei cittadini cambino anche se si tratta di un mutamento solo sentito e percepito. Dalla primavera del 2008 ad oggi molte cose sono avvenute che hanno incrinato il consenso alla maggioranza.

Bersani lancia la sfida, da Grillo nuovo no

Loading

“Legge per cambiare i partiti”. “Niente fiducia”. Renzi: restituiamo il finanziamento

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment