Quando la spiritualità  ha radici tutte terrene

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Il centenario dalla nascita di Giuseppe Dossetti è soprattutto un’occasione per riflettere sulla sua lezione politica. Paolo Pombeni (Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano, Il Mulino, 2013) ha proposto una «sistemazione interpretativa» del percorso dello studioso della Cattolica, attraverso la Resistenza e poi nella Dc, fino all’ultimo impegno come voce critica nella società . Liberando il terreno dalle facili letture, l’autore invita a leggere la biografia come quella di un «profeta» che «passa attraverso la storia e tuttavia non ha quella come meta».
Vale la pena soffermarsi su questo aspetto che rappresenta il vero enigma della sua figura. Dossetti fu un integralista? Che la risposta sia negativa si evince soprattutto dalla sua storia, ricostruita fino al 1948 nella biografia di Enrico Galavotti (Il Professorino, Il Mulino, 2013). Questo è di fatto il primo studio sistematico delle fonti su Dossetti, molte delle quali sono andate purtroppo perdute. Non mancano però le tracce sulla genesi del suo impegno, maturato in Cattolica insieme agli amici poi confluiti in Civitas Humana. In quella sede ha preso piede il progetto di un coinvolgimento dei cattolici nella ricostruzione: non all’insegna del Partito Popolare, ma come uno sviluppo del pensiero di Maritain sulla distinzione del piano spirituale da quello temporale. Quando, dopo la lotta partigiana, Dossetti si troverà  ai vertici della Dc, aveva quindi già  chiaro l’obiettivo: contrastare sia coloro che volevano una Dc subordinata al governo e al Patto Atlantico (De Gasperi), sia chi nella chiesa lavorava per farne una sponda politica della Santa Sede. Di questa lotta abbiamo un ulteriore conferma nel libro di Alberto Melloni in uscita per Donzelli (Dossetti e l’indicibile), dedicatoal quaderno speciale di «Cronache sociali» del 1948 su Chiesa e politica. La pubblicazione fu impedita dalla gerarchia ecclesiastica per le implicazioni che avrebbe avuto sulla Dc e dallo studio di materiali inediti l’autore lascia trapelare l’ipotesi che il quaderno fosse propedeutico alla fondazione di un nuovo partito cattolico di sinistra. A ciò si aggiunga che Dossetti, La Pira, Moro e Fanfani avevano acquisito una «pericolosa» notorietà  durante la Costituente, un’esperienza documentata da Galavotti che avanza una lettura complessiva del disegno di Dossetti per il dopoguerra. Al centro, la paura di un ritorno al fascismo e il bisogno di dare solide fondamenta alla carta costituzionale.
Lo strumento: una piattaforma ideologica che riunisse le forze politiche antifasciste. Del comunismo Dossetti aborriva il carattere materialistico, ma era convinto che il consenso di massa delle sinistre andasse ancorato alla democrazia per renderla «sostanziale».
Lo stesso valeva per la chiesa. Se era stata determinante nell’avvento del regime, allora anche la congiuntura democratica non avrebbe potuto fare a meno del contributo ecclesiastico per sopravvivere. L’art. 7 rappresentò quindi per Dossetti il male minore; un compromesso, che solo una riforma della chiesa avrebbe potuto e dovutorisolvere facendo accettare al Vaticano la rottura del rapporto tra fede e potere.
L’aggiornamento avrebbe inoltre assunto un valore universale in quella storia della salvezza nella quale le contingenze politiche erano «segni dei tempi», da comprendere e sviluppare alla luce della Rivelazione. Questa lettura metastoricadel presente diverrà  prevalente dopo l’abbandono della vita politica nel 1951, rispetto al quale la candidatura alle elezioni bolognesi del ’56 è stata un incidente di percorso, sfruttato per dimostrare come non ci potesse essere un cambiamento politico senza un intervento sulla religione. Vi si adopererà  al Vaticano II, ma il Dossetti del secondo Novecento attende ancora di essere esplorato. Spiegare come le due componenti della sua biografia, quella religiosa e quella politica, fossero legate in un rapporto dinamico e evolutivo è il stato risultato più prezioso dei nuovi studi.


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