Sprechi alimentari. Spunti per un’ecologia economica

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In Italia lo spreco alimentare è pari al 2,4% del Pil (a prezzi di mercato del 2011, pari a circa 40 miliardi di euro) ed è rintracciabile ad ogni tappa della filiera agroalimentare: produzione agricola, industria agroalimentare, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio, ristorazione, consumo domestico. Ettari di suolo tolti alla vegetazione spontanea, metri cubi di acqua utilizzati nei diversi passaggi produttivi, così come tonnellate di anidride carbonica immesse nell’atmosfera. Questi alcuni dei più evidenti risultati del sistema produttivo maggiormente diffuso nei paesi che dettano legge sul mercato. “L’obiettivo di lungo periodo deve essere quello di azzerare gli sprechi” ci ha detto Andrea Segrè, docente di Politica Agraria all’Università  di Bologna e inventore della filosofia del “Last minute market”. Per questo è nato il progetto Spreco Zero e con lui la Carta per una Rete di Amministrazioni a Spreco Zero, già  sottoscritta da oltre 300 sindaci italiani da settembre 2012 a oggi. Abbiamo fatto alcune domande al professor Segré.

Nemmeno la crisi economica, che per le categorie medio-basse di consumatori ha fatto registrare una vera e propria inversione di marcia rispetto agli sprechi alimentari. I sistemi di produzione e le ideologie sono rimaste le stesse o qualcosa sta cambiando?
La crisi economica non ha aiutato molto la riduzione degli sprechi. Anche se è facile constatare come con la diminuzione dei consumi siano diminuiti anche i rifiuti (comperiamo meno e produciamo meno rifiuti) va ricordato che il concetto di “spreco” e quello di “rifiuto” sono cose diverse.
Lo spreco è qualcosa che getti via, un bene che potrebbe essere ancora utilizzato. Il rifiuto è ciò che non si può più utilizzare. Il nostro mercato, ora in stato di crisi profonda, è costruito sullo spreco: bisogna produrre e poi acquistare e acquistare, senza nemmeno consumare. Sovente capita di buttare via cose che non si è nemmeno finito di utilizzare. In questo sistema anche il cibo non fa eccezione.
La crisi doveva portare il messaggio che questo mercato non funziona. Che le risorse non sono infinite e che forse i consumi dovrebbero essere pensati in maniera differente. Insomma, che si può anche consumare di più, ma che sia importante farlo meglio. Invece si discute di come ampliare l’attuale sistema produttivo, di come farlo riprendere.

Dunque voltare pagina non è possibile?
La soluzione sta nella rivoluzione grammaticale. È necessario invertire la posizione tra ecologia e economia. L’economia non deve stare al centro del mondo. Letteralmente ‘economia’ vuol dire buona gestione del posto in cui viviamo. ‘Ecologia’ è invece la buona gestione della nostra grande casa, il nostro pianeta, quindi il suolo, la terra, l’acqua, l’energia: risorse naturali limitate e rinnovabili.
Il sistema generale dovrebbe essere orientato ad una “ecologia economica”, in cui l’economia è al massimo un aggettivo. Nel momento in cui l’economia sta all’interno dei limiti dell’ecologia, il sistema funziona. Oltre non si può andare, c’è una legge fisica che dice che le risorse sono limitate seppure rinnovabili: se le consumi troppo velocemente, esse non si rigenerano. Consumare oltre i livelli di sopportazione del sistema è profondamente sbagliato.

Last minute market è uno spin-off dell’Università  di Bologna nato nel 1998 come attività  di ricerca. Dal 2003 è una realtà  imprenditoriale con oltre 40 progetti attivati in comuni, provincie e regioni italiane. Quali sono i risultati di questi 15 anni di lavoro?
Esistono altri progetti sul riutilizzo e riciclo della produzione alimentare in Italia?

Last Minute Market è un progetto originale perché rappresenta un chilometro zero dello spreco. Recuperi l’eccedenza laddove si forma e lì la consumi. Quindi rispetto a tante altre esperienze, anche a livello mondiale, è originale perché non presuppone trasporto o immagazinamento. È una logistica all’inverso. ‘Ultimo minuto’ indica che bisogna fare in fretta, ridurre gli spostamenti e andare all’ultimo consumatore: il povero, l’indigente. Il progetto è stato da allora riprodotto in altri posti e questo è sintomo della sua fattibilità .

Il Parlamento Europeo ha richiesto che il 2014 diventi “Anno Europeo di lotta allo spreco alimentare”. Questo a seguito della campagna triennale (2010 -12) sui consumi. L’anno che intercorre, ossia il 2013 sarà  dedicato allo “SprecoZero“. In cosa consiste questa iniziativa e a chi si rivolge?
L’obiettivo finale del Last Minute Market è quello di autodistruggersi. Ecco perché Spreco Zero. Il primo articolo del nostro statuto spiega come noi vogliamo ridurre gli sprechi a zero e non dover più recuperare niente.
“Spreco Zero” si rivolge a tutti gli attori della filiera alimentare con l’obiettivo di azzerare gli sprechi. In particolare a tutti noi consumatori disattenti, perché l’anello debole dello spreco è quello domestico. Questo spreco non può essere recuperato: ciò che buttiamo via, dalle nostre case finisce nel bidone della spazzatura, mentre gli sprechi di un supermercato possono essere recuperati e ridistribuiti, che è quello che già  facciamo attraverso il Last Minute Market.
Per questo abbiamo avviato una campagna di comunicazione ad hoc per contrastare lo spreco domestico. Pubblicando libri, facendo eventi. Tutto questo perché noi vogliamo cambiare mestiere, fare qualcos’altro, non dover più recuperare ciò che si getta e darlo a chi ha bisogno, sebbene questa sia una attività  straordinaria (perché mette in relazione chi spreca e chi non ha nulla).
Il sistema del recupero non deve perpetuarsi, perché significherebbe far sopravvivere un sistema che non funziona. Dare gli avanzi dei ricchi ai poveri è ciò che nell’immediato, come società , abbiamo pensato di fare. Ma non è eternamente accettabile. E allora il senso della campagna è quello di dire ‘basta sprechi’. Riduciamoli. Liberiamo delle risorse e affidiamole a coloro che possono averne maggior bisogno.
Il problema va risolto a monte. Gli sprechi ci costano. Recuperarli e darli a chi ha bisogno è un primo passo “emergenziale”, ma non può diventare un alibi per giustificarne una ulteriore produzione.

Nel gennaio 2012 l’Assemblea plenaria di Strasburgo ha approvato una Risoluzione che chiedeva di dimezzare entro il 2025 lo spreco alimentare negli Stati membri. Quanto è lontano ancora questo traguardo e quali sono i passi da fare per ottenerlo?
Il traguardo è purtroppo molto lontano. La Risoluzione è ben fatta, completa ed approfondita. Il parlamento europeo ha fatto il suo dovere e l’ha approvata. L’esecuzione dei contenuti è compito della Commissione esecutiva. La Commissione è molto in ritardo e non ha ancora adottato nessuna misura tra quelle richieste. Il progetto ha dimensione europea, ma mancano ancora gli adattamenti: l’anno contro lo spreco è previsto per il 2014. Ma non c’è ancora la delibera della commissione.

Quindi ci troviamo di fronte ad una missione impossibile?
A noi piace molto l’Europa. Ma sta dimostrando di non avere tempi immediati su questo piano. Perciò, abbiamo preso la Risoluzione e l’abbiamo tradotta in una Carta, che si chiama “Carta per un’amministrazione a Spreco Zero”. I sindaci italiani la stanno firmando, e sono ormai più di 300 i Comuni che l’hanno fatto. Il senso della carta è quello di anticipare i tempi: noi possiamo già  fare qualcosa, fin da subito. 


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