Aiuto, i nostri romanzi hanno perso le emozioni

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ROMA. Lo “spirito del tempo” è ineffabile per definizione. Ma un motore di ricerca – anche in questo – può essere d’aiuto. Prendiamo Google e i cinque milioni di libri pubblicati tra il 1900 e il 2000 che sono stati digitalizzati e riposano nella sua pancia. In questi 500 miliardi di parole, nel corso del secolo, le espressioni legate alle emozioni sono diventate sempre più rare. I libri che trasudano sentimento non mancano certo, eppure pochi di noi esiterebbero a definire il nostro “spirito del tempo” come orientato verso un progressivo inaridimento.
Le galassie di parole legate a rabbia, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa sono diventate sempre più rare nei nostri libri. Lo ha calcolato un gruppo di antropologi e informatici coordinato dall’università  di Bristol. A resistere è solo la paura. La presenza della più ancestrale fra le nostre emozioni è scesa nel corso del secolo,
ma si è ripresa dagli anni ’80. E la curva della gioia – si legge nello studio uscito oggi sulla rivista Plos One – segue un andamento sorprendentemente vicino agli avvenimenti storici del ’900. Le espressioni di felicità  in letteratura aumentano nei primi due decenni del secolo per poi inabissarsi con la Grande Depressione e l’arrivo delle dittature fino al conflitto. Il dopoguerra segna una ripresa, annullata negli anni ’70. Al ritorno di un certo ottimismo si assiste dagli anni ’80 al 2000.
«Abbiamo fotografato un andamento. Non ci azzardiamo a dare interpretazioni» spiega Alberto Acerbi, antropologo all’università  di Bristol e coordinatore dello studio. «Le parole che esprimono emozioni hanno subito un calo eclatante. I dati sono nitidi, specialmente in corrispondenza degli eventi storici. Ma per legare le nostre osservazioni all’emergere di correnti letterarie avremmo bisogno dell’aiuto degli esperti».
Lo studio è limitato ai libri pubblicati in inglese. Per quanto riguarda l’Italia, il linguista Tullio De Mauro ha un’impressione diversa. «Studiare la frequenza dell’uso delle parole può aiutarci a capire come varia una cultura. Ma se dovessi dare un giudizio sulla lingua italiana, direi che è sempre più ricca di espressioni legate a sentimenti e di termini astratti. Crescono in maniera sorprendente le parole emotive e volgari insieme. L’“Antilingua” descritta da Italo Calvino (l’italiano astratto e vuoto parlato dal brigadiere) ha preso il sopravvento sulla lingua concreta del portiere. È come se chi scrive in italiano fosse preda di una sorta di “terrore semantico”».
Scavando in quella zuppa di parole che Google ha riversato nel suo database (i libri, pari al 4per cento di tutti i volumi stampati nella storia, sono stati digitalizzati, ma non sono leggibili e l’elenco dei titoli è segreto per non violare i diritti d’autore), è emerso anche che la letteratura americana resta più emotiva rispetto a quella british. «Mentre in Gran Bretagna andavano le storie di spionaggio di Le Carré e Fleming, gli Usa avevano Vonnegut e Vidal » spiega Acerbi.
In passato con metodi simili si era visto che l’“umore” degli utenti di Twitter può essere usato per prevedere la borsa o i risultati elettorali. Che diventare famosi oggi è molto più facile rispetto a un secolo fa, ma la popolarità  ha durata brevissima. Che Dio non è morto, ma appare un terzo delle volte nei nostri libri rispetto al 1850 e che le canzoni rock americane dagli anni ’80 usano spesso la parola “io”, poco il “noi” e sono sempre più ricche di “odio”, “uccidere” e “vaffanculo”. Lo spirito del tempo, chiaramente.


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