La cautela del Quirinale per una maggioranza che ancora non si vede

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ROMA — Aveva sperato che la gestazione delle prime due cariche istituzionali della legislatura potesse favorire un accordo largo, tale da aprire qualche concreta prospettiva di governabilità . In modo di avere un punto fermo dal quale partire, quando tutto passerà  nelle sue mani. Per questo, ieri mattina, Giorgio Napolitano aveva chiesto che la scelta dei presidenti di Camera e Senato avvenisse «in un clima di condivisione della responsabilità  di favorire l’avvio di una costruttiva dialettica democratica».
Così non è stato, come del resto era pure per lui prevedibile: con un consenso al di sotto del 30 per cento, il centrosinistra ha conquistato i vertici di Palazzo Madama e Montecitorio. Nonostante l’oggettivo e forte segno di discontinuità  con le logiche dei vecchi apparati che il ticket Boldrini-Grasso testimonia, quella doppia nomina di fatto non ha potuto rompere i reciproci arroccamenti. E i 12 voti in più ottenuti da Grasso al Senato (frutto di uno scatto di libertà  di qualche grillino) ancora non cancellano l’isolamento del Pd e non dimostrano la possibilità , rincorsa da Bersani, di costruire un’alleanza con il Movimento 5 Stelle e di assicurarsi alla Camera Alta una maggioranza di cui al momento non dispone.
Per il presidente della Repubblica, insomma, il nodo più difficile per tenere a battesimo un governo resta intatto. I numeri non ci sono. Infatti non è per niente automatico e sicuro che lo stesso travaso avvenuto ieri a Palazzo Madama si possa ripetere, quando ci fosse da attribuire la fiducia a un esecutivo sotto il sigillo del Partito democratico. Così, il Quirinale si protegge nella prudenza delle fasi critiche.
«Meglio aspettare le consultazioni, prima quelle del capo dello Stato, quindi quelle del premier incaricato», dicono laconicamente dallo staff del Quirinale, sapendo che Napolitano impiegherà  la domenica ad analizzare la portata politica e le possibili conseguenze della mossa del segretario del Pd. Un passaggio che solo in minima parte è riuscito a essere inclusivo e a realizzare la vagheggiata «corresponsabilità ».
Dall’ottica del Colle, comunque, la macchina istituzionale si è almeno messa in movimento, dopo un giorno di negoziati a vuoto e di crescente incomunicabilità  tra i partiti. L’elezione di Boldrini e Grasso è «il primo punto fermo della nuova legislatura, nell’interesse generale del Paese», segnala con sollievo il presidente della Repubblica. «Un punto fermo — precisa — in una situazione che vede l’Italia esposta a serie incognite e urgenze» al pari dell’«impegno del governo dimissionario rimasto in carica e in funzione, sia pure con poteri limitati». Un cenno, questo, che appare in una nota fatta diffondere da Napolitano in mattinata, per chiarire lo spirito che venerdì aveva ispirato la sua posizione nel burrascoso colloquio con Monti.
Vale a dire che il suo stop alla «disponibilità » del premier a candidarsi per la presidenza del Senato era motivato, oltre che da alcuni dubbi giuridici, da una sorta di ragion di Stato: per non sguarnire Palazzo Chigi in settimane cruciali. Un «no» al quale il premier aveva replicato come Garibaldi a Bezzecca (1866), quando il generale s’inchinò alla volontà  del re e rinunciò a marciare verso Trento telegrafandogli un’unica parola, ispirata alla carità  di patria: «Obbedisco» (sottinteso poi reso esplicito, «ma non condivido»). Per cui ha solo un valore lenitivo, che tuttavia non consola il premier, la chiosa attraverso la quale il capo dello Stato esprime ora «apprezzamento per il senso di responsabilità  e lo spirito di sacrificio con cui Monti porterà  a completamento la missione di governo assunta nel novembre 2011».
Malumori a parte e chiusa quella prova di forza, oggi Boldrini e Grasso saliranno al Colle per il loro primo appuntamento istituzionale: la celebrazione della Giornata dell’Unità  d’Italia. Sarà  l’occasione per un confronto di idee con il presidente della Repubblica e per un provvisorio bilancio congiunto, in attesa di essere formalmente convocati per le consultazioni, destinate ad aprirsi mercoledì e a chiudersi probabilmente venerdì. Tre, al momento, gli scenari possibili, per Napolitano: 1) il presidente affida a un’alta carica dello Stato un mandato esplorativo, per un supplemento d’indagine nel caso che il suo «giro» non si sia rivelato chiarificatore; 2) affida a Bersani un incarico pieno; 3) affida, e sempre a Bersani, un meno impegnativo pre-incarico. Sullo sfondo, resta come extrema ratio l’ipotesi di un governo istituzionale.


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