La sfida della Corea del Nord “Annullato l’armistizio del ’53”

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SEUL â€” Alle nove del mattino i funzionari del ministero della Riunificazione di Seul, come ogni giorno da quarantadue anni, per due volte hanno composto il numero della “linea rossa” che li mette in contatto con i militari di Pyongyang per affrontare «le emergenze». A Panmunjom, il villaggio «demilitarizzato» lungo il confine sul 38° parallelo, nessuno ha risposto. È la quinta volta che succede, in sessant’anni di guerra sospesa: alle prime luci dell’alba la Corea del Nord ha tagliato l’unico canale di collegamento con il Sud e il regime del «giovane leader» Kim Jong-un ha dichiarato «completamente nullo » l’armistizio siglato nel 1953. «Scocca l’ora della battaglia finale – ha sentenziato il quotidiano del partito dei lavoratori Rodong Sinmun – l’attacco può partire in qualsiasi momento».
Nelle colline del Nord, lungo la frontiera, sono state riaperte le trincee da cui spuntano le bocche di cannoni e lancia-missili, pronti a fare fuoco contro il Sud. Anche nelle rocce a pochi chilometri dall’isola di Yeonpyeong, dove nel dicembre 2010 sono piovuti i razzi di Pyongyang, si scorgono le postazioni in cui Kim Jong-un sta ammassando artiglieria e ordigni dotati di testata atomica. La linea di confine sul 38° parallelo si va riempiendo di soldati e di mezzi e i satelliti del Sud rivelano migliaia di militari nordcoreani radunati a Wonsan, nella provincia di Gangwon. È questa, per ora, la risposta del Nord alla prova di forza lanciata dagli Usa e dal Sud, che ieri hanno dato il via alle maxi-esercitazioni marine “Foal Eagle”, completate dalle simulazioni elettroniche di un conflitto. Le minacce di un «attacco atomico preventivo » da parte di Pyongyang e l’irritazione di Pechino non sono bastati a fermarle e proseguiranno per due settimane al largo della costa orientale della penisola. «Gli Usa non rimarranno a guardare – ha detto ieri il consigliere alla sicurezza della Casa Bianca Thomas Donilon – e non accetteranno che la Corea del Nord diventi uno stato nuclearizzato». Per irrobustire la deterrenza, dopo le nuove sanzioni Onu, gli alleati hanno schierato 13.500 marines, la portaerei nucleare “George Washington”, uno stormo di aerei da combattimento F-22 e un sommergibile atomico. Questa impressionante esibizione di armi, su entrambi i fronti, giustifica l’allarme scattato in tutto il Pacifico, che supera ampiamente la retorica bellica del Nord.
Fonti di intelligence assicurano che Kim Jong-un è pronto a effettuare il quarto test atomico, dopo quello che a metà  gennaio ha scatenato la reazione Onu. In una montagna vicina ai laboratori nordcoreani è stato chiuso il tunnel dove si teme che nelle prossime ore venga fatta esplodere la bomba. A Seul la nuova presidente Park Geun-hye (che a maggio sarà  ricevuta da Obama) ha convocato il governo, non ancora del tutto insediato, nel bunker sotto la Casa Blu. «La situazione è molto grave e molto complicata – ha detto – a causa dell’imprevedibilità  che ci circonda. In ogni caso risponderemo con fermezza ad ogni provocazione ».
L’inesperienza e la necessità  di radicare il consenso dei nuovi leader in campo, dalle due Coree alla Cina, accresce in Asia il senso di vulnerabilità  e la frustrazione popolare. Nel Sud, dove il neo ministro della Difesa è sotto inchiesta per evasione fiscale e alcuni ministri sono nella bufera per aver trascorso il weekend a giocare a golf con alcuni generali, monta così l’onda che invoca una «corsa nazionale al riarmo atomico». Politici, militari e industriali chiedono alla nuova leadership di rompere il tabù che dura dal 1953 e di «sviluppare subito un nostro arsenale nucleare » anti-Pyongyang. Negli anni ’70 fu proprio il dittatore Park Chung-hee, padre dell’attuale presidente, a prospettare l’atomica in risposta al temuto disarmo americano in Asia, dopo la sconfitta in Vietnam. Gli stessi Usa, nel 1991, finita la Guerra Fredda hanno rimosso le testate atomiche dalle basi coreane, lasciando solo i 28.500 marines. Seul oggi ha paura che Washington, costretta a tagli di bilancio, possa disimpegnarsi da un «costosissimo conflitto regionale bloccato». «O gli Usa reintroducono le armi atomiche nel Sud – ha detto l’erede del gruppo Hyundai, Chung Mong-joon – oppure non ci resta che farcele da soli. Non si può affrontare a mani nude un nemico armato di missili».
Due sondaggi rivelano che quasi due terzi dei sudcoreani sono d’accordo e anche a Pechino
cresce il timore per «l’escalation incontrollabile in una delle aree più militarizzate del mondo ». La Cina in queste ore è impegnata nella decennale transizione del potere, il ministro degli Esteri Yan Jiechi sta per essere promosso, ma la priorità  del momento è «mantenere la stabilità  ed evitare il caos», mentre la linea è «rispettare le sanzioni Onu, un po’ più che in passato, ma non troppo». Il problema sono gli Usa, non «regalare Pyongyang all’Occidente» e, come ha detto il prossimo presidente Xi Jinping, «ridefinire un nuovo tipo di rapporto tra grandi potenze». Un attacco nordcoreano renderebbe il confronto impossibile. Per questo la sola buona notizia dalla frontiera è che ieri le industrie di Kaesong, nel territorio del Nord, non hanno bloccato gli 840 operai provenienti dal Sud e hanno continuato a lavorare. Sarà  anche «l’ora delle armi», ma prima viene ancora il business.


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