Larghe intese, Pd diviso ma Renzi giura fedeltà 

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QUESTO è lo scontro che si consuma nella sfida tra il renziano Graziano Delrio e Stefano Fassina, seguìto alle parole consegnate dal presidente dell’Anci a
Repubblica.
Un sabotaggio bello e buono nei confronti del segretario Bersani in piena corsa per strappare il mandato pieno del capo dello Stato e formare il governo, secondo il responsabile economico del Pd. La telefonata di Renzi a Bersani, alla fine di una giornata caldissima, chiude la polemica o forse la sposta solo più in là . «Nessun complotto. Io non ti danneggio», dice il rottamatore al segretario. I suoi si erano spinti troppo avanti, questo è chiaro, e il primo cittadino lo ha capito. Il suo tempo non è ancora arrivato.
Bersani vuole comunque inchiodare tutti alle proprie responsabilità  nella direzione di stasera. Chiederà  un mandato aperto per trattare con tutti, alla vigilia delle consultazioni con i partiti. E da molti l’uscita di Fassina non viene letta come un grande aiuto alla sua impresa. Certo, le parole di Delrio hanno fatto male. Ma anche il leader dei Giovani turchi sta giocando una partita che era quella del segretario ma non è più del presidente del Consiglio incaricato che, in qualche modo, avrà  bisogno del sostegno del centrodestra. Detto questo, Bersani ricorderà  i paletti che allontanano il Pd dal Pdl e dalle larghe intese che sono invece l’obiettivo di Renzi. Per avere tempo, per prepararsi, con nuove primarie, a salire sul trono del centrosinistra magari a ottobre e diventarne il candidato premier. Se questa è la posizione del sindaco, i bersaniani sono pronti a lanciare la sfida già  stasera. «Sono un’esigua minoranza. Le larghe intese non esistono, né per noi né per il
capo dello Stato. Non ci sono alternative al tentativo del segretario ». Quindi, se Bersani si ferma, si apre un’autostrada verso il ritorno immediato alle urne. E i piani di Renzi diverrano più complicati.
Ecco perché Matteo Richetti, ex presidente del consiglio regionale dell’Emilia, vicinissimo a Renzi, immagina un vicino show down, ossia alla scissione. «Prima o poi — racconta — dovremo fare un ragionamento sul dato reale delle elezioni. Scopriremo che il Pd è praticamente finito. Se oggi facessimo una lista civica «Renzi per cambiare l’Italia» prenderebbe molti più consensi del Partito democratico. E questa è l’unica strada da percorrere». Richetti e Renzi sono amici, «ma su questo ci scontriamo quasi ogni giorno. Lui mi ripete «sono un sindaco del Pd», non vuole abbandonare la ditta. Ma negli ultimi tempi mi sembra più consapevole».
Fassina è il pasdaran dell’ala bersaniana. Stavolta però ha parlato in nome della linea “o Bersani o voto subito” che ovviamente smentisce i presunti patti tra giovani turchi e renziani per spartirsi le quote del Pd e avviare la stagione di una nuova classe dirigente. Non esiste alcun margine per questo tipo di compromesso. Renzi non colorerà  di rosso le sue strategie nel prossimo futuro. Sarà  sempre costretto a rilanciare, a distinguersi dalle antiche parole d’ordine per mantenere il carattere di novità  del suo profilo. Nessun patto è possibile, dunque. A meno che non ci sia una consensuale divisione dei compiti e del partito: da una parte il Pd alla sinistra, dall’altra la lista civica di Renzi. Alleati, ma distinti. Il profondo dissenso è testimoniato dalle battute che sono corse sui social e hanno diviso le tifoserie. Richetti, con poco stile, ha accusato Nico Stumpo, il responsabile organizzativo, di essere il vero sabotatore di Bersani per essersi presentato nello studio domenicale di Barbara D’Urso. Cosa voleva dire, che Stumpo è impresentabile? Il deputato renziano Ernesto Carbone ha consigliato a Fassina di prendersi una camomilla. Simona Bonafè, una delle portavoci di Renzi alle primarie, attacca il responsabile economico, ma conferma la linea del sindaco espressa pubblicamente: «Serve un’intesa col Pdl». La telefonata di ieri sera però calma le acque e permette al rottamatore di non presentarsi stasera alla direzione. Non ci sarà  neanche Massimo D’Alema impegnato come presidente della Fondazione europea dei progressisti in un convegno a Parigi programmato da tempo.


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