«O me o il voto» La linea del leader da imporre al partito

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ROMA — Di mestiere non fa il politico, per quanto frequenti con una certa intensità  i palazzi del potere a Roma. È un manager. Ha appena sentito la delegazione di Confindustria che deve incontrarsi con Pier Luigi Bersani. Squinzi va alle consultazioni per spiegare al segretario del Partito democratico che occorre, da subito, anzi, da «subitissimo», un governo, sì, però di larghe intese.
Ma non è di questo che il manager con un piede nel Pd si è informato. Ormai è del dopo-Bersani che si parla. Comunque e dovunque. Il leader del Pd non ha ancora esaurito il suo tentativo. E, peraltro, appare più che ottimista sul futuro. Ma ecco che già , dentro e fuori il suo partito, è tutto un discettare delle possibili soluzioni alternative. Ultima, solo in ordine di tempo, quella che il manager afferra al volo, tra una telefonata e l’altra, mentre le consultazioni vanno avanti. La racconta così: «Ormai c’è una sola strada: Matteo Renzi. O è lui a riuscire a fare il miracolo di un governo che riesca a rubare il sostegno di grillini e dei parlamentari del Pdl, oppure è sempre lui che ci porta al voto perché un secondo giro dopo Bersani è inevitabile e Grasso dopo il battibecco con Travaglio non è più spendibile».
Fantapolitica? Non l’ipotesi Grasso, ben si intende, che, dicono, resta pur sempre in piedi come ultima spiaggia prima delle elezioni, ma la soluzione Renzi. Soluzione che peraltro lo stesso sindaco di Firenze, non più tardi di una ventina di giorni orsono smentì con decisione e irritazione. Perché non era — e non è — nelle sue intenzioni entrare in partita adesso. Eppure adesso c’è chi torna a fare il suo nome.
Ora come allora: qualche tempo, fa, c’era chi aveva chiesto al primo cittadino del capoluogo toscano come avrebbe reagito se Napolitano gli avesse dato un incarico. E Renzi, com’era ovvio, aveva spiegato che quella non era un’offerta rifiutabile. Ma «si trattava di un paradosso», come aveva spiegato e rispiegato il sindaco rottamatore. Il quale non aveva dato peso alcuno a quell’ipotesi che oggi invece sembra tornare alla ribalta. Tanto più dopo che il presidente dell’Anci Graziano Delrio, renziano di ferro, ha lasciato intendere che quella di un governo Pd-Pdl è un’ipotesi percorribile, provocando le ire di Stefano Fassina che ha cercato subito di troncare così ogni discorso: «O Bersani o elezioni». Ne è seguito uno scambio di accuse che si è placato solo quando Renzi, al telefono, ha rassicurato Bersani: «Pier Luigi, stai tranquillo, nessuno cerca di azzopparti».
Ma è l’aut aut «o me o le elezioni», condito con le diplomazie del caso, che il segretario del Partito democratico vuol far passare oggi in Direzione. Proprio per questa ragione i renziani, che in quell’organismo scarseggiano, hanno cercato di giocare d’anticipo. Alla riunione, come sempre accade nel Pd, non ci sarà  nessun redde rationem melodrammatico, anche perché Bersani sta andando dritto per la sua strada come se nulla fosse. Il segretario ha già  lanciato il suo ultimatum al Pdl e Alfano lo ha dovuto raccogliere e riportare a Berlusconi: «Finché non si sblocca la questione del governo non si scioglie nemmeno il nodo della presidenza della Repubblica, per cui se volete una scelta condivisa sul Colle risolviamo prima il problema dell’esecutivo, altrimenti noi una maggioranza per scegliere autonomamente il capo dello Stato ce l’abbiamo». E al Pdl che insiste nel chiedere di inviare al Colle un proprio uomo, Bersani continua a dire di no: «Ci vuole un esponente vicino al centrosinistra che sia votabile anche per voi».
Il segretario del Pd per raggiungere il traguardo che si prefigge è dunque disposto a «un confronto» con il centrodestra, com’è pronto a inserire nel suo governo figure «super partes» che non siano riconducibili all’area di centrosinistra. Un nome per tutti: quello dell’attuale ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri.


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