L’offerta di Pierluigi “Insieme per le riforme”

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«NON parlatemi di governissimi — dice ad Alfano e Maroni quando vengono ricevuti nella sala di Montecitorio —. È una formula che per me significa una sola cosa: pretendere l’impossibile per non fare il possibile». Parliamo invece, spiega il leader democratico, della Convenzione per le riforme istituzionali. La chiama «Costituente », senza tanti giri di parole. «In quella sede tutte le forze politiche devono avere una responsabilità . Io e il governo ci mettiamo al servizio di questa grande operazione di cambiamento. Si lascia inalterata la prima parte della Costituzione e si modica la seconda. Con il contributo di tutti». Questa è la proposta. Che in concreto, il giorno dell’eventuale voto di fiducia a Bersani, si realizzerebbe con l’uscita dall’aula di Pdl e Lega al Senato. La soglia della maggioranza si abbassa, il governo ottiene i voti necessari. E il miracolo si compie.
Il segretario del Pdl e il governatore lombardo ascoltano. Bersani ha appena cominciato il suo ragionamento. «Un mio fallimento è possibile, l’ho messo nel conto. Ma levatevi dalla testa che se si arriva a un secondo giro, il Pd porta di nuovo la croce. A questo, non ci stiamo. Posso consentire la nascita di un altro esecutivo, ma subito dopo, ve lo dico chiaro, noi prendiamo le distanze. Ci mettiamo alla finestra e al primo provvedimento che non piace al Pd, stacchiamo la spina. Se si torna a votare, il mio partito un piano B ce l’ha. E voi?». Bersani sa che esiste un solco tra la Lega e Berlusconi. «Il Cavaliere punta sparato alle elezioni, ma Roberto si è già  messo di traverso. Non vuole tornare alle urne e spinge da giorni per consentire la partenza del governo». Infatti Maroni fa pressioni su Alfano perché il Pdl accetti l’offerta di Bersani: la presidenza della Convenzione a un uomo del centrodestra, il nuovo capo dello Stato che non sia ostile al Cavaliere, la grande occasione di partecipare alla costruzione della Terza repubblica con un occhio attento al federalismo (questo dal suo punto di vista). Con il Carroccio, il Pd ha messo giù le basi della
legge costituzionale che darebbe vita alla “Costituente”. Una legge che affida al Parlamento la decisione finale sul testo della nuova Carta, senza emendamenti: o si approva o si respinge. Un percorso non breve, ma con qualche certezza sull’esito finale.
Da qui si parte. Ventiquattro ore di tempo per riuscire, dopo la giornata in cui le carte sono state scoperte. «Il governo avrebbe la sua autonomia — spiega Bersani —. Lavorerebbe sugli 8 punti e voi dovreste consentire la sua nascita, con le forme parlamentari possibili. Ci vuole fantasia. Ma le larghe intese non esistono. L’abbiamo già  visto con Monti, questo film. Con il Pdl e la Lega non possiamo stare insieme. Niente inciuci. Riforme e Palazzo Chigi sono due binari diversi. Così rimangono». Il
punto chiave, il terzo binario, è il nuovo inquilino del Quirinale, poche storie. Bersani detta la linea: «Se nasce un governissimo, il Pd si sente disimpegnato, questo è evidente. E faremo valere le logiche dei numeri nell’elezione del presidente della Repubblica. Ci muoviamo su un nome nostro, i numeri dicono che possiamo farlo da soli. O quasi». L’avvertimento deve arrivare forte a Berlusconi. C’è una rosa del Pd, con Franco Marini in testa, che può essere condivisa dal Pdl. Ce n’è un’altra che cercherebbe consensi e sostegno da altre parti, tagliando fuori il centrodestra. «Però non si può discuterne adesso o fare degli scambi. Detto questo, sui temi istituzionali si discute, nessuno vuole escludere il Pdl. E la scelta del presidente della Repubblica sta in questo campo».
L’apertura a tutto campo sulla Convenzione verrà  offerta oggi anche al Movimento 5stelle. Ma è dal centrodestra che Bersani si attende, questo pomeriggio, un pronunciamento pubblico, un sì alle riforme istituzionali condivise. Sarebbe il viatico con cui strappare a Giorgio Napolitano il mandato pieno. «Domani salgo al Colle e porto quello che posso portare — spiega ancora il segretario del Pd —. Se non ci sono le condizioni, al capo dello Stato dirò che non è il caso di andare in aula. Ma se il quadro cambia nelle prossime ore, allora il governo nasce». Un governo alle sue condizioni, certo. «Il coinvolgimento politico del Pd finisce con il mio incarico. Ci si inventa qualcos’altro? In quel caso teniamo le mani libere. Su questo punto sto fermo, non cedo. Questo è il mio inizio e la mia fine per quello che riguarda un progetto che sia politico». Un ultimatum rivolto al centrodestra ma anche a una parte dei democratici. «Dentro le larghe intese — dice ancora il segretario — io e il Pd non ci staremo mai. Non farò fare al mio partito la fine del Pasok, dei socialisti greci».
Sono i toni e le parole di chi sta giocando la partita della vita. E che coinvolge tutti secondo Nichi Vendola. «Il Paese sta esplodendo, la disperazione è ovunque. Se questo governo non nasce, tra un mese dovremo girare con i giubbotti antiproiettile».


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