Più voti, meno seggi: follie (legali) del Porcellum

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ROMA — I paradossi numerici del Porcellum sono tanti e distorcono non poco il principio di rappresentanza, fino a mettere in crisi la governabilità  impedendo che al Senato ci sia una maggioranza sovrapponibile a quella uscita dal voto della Camera.
Se è vero, infatti, che il Pd e i suoi alleati hanno strappato il ricco premio di maggioranza alla Camera (340 deputati) al centrodestra per un pugno di voti (poco più di 250 mila), le lamentele più forti ora arrivano dai partiti che sono rimasti fuori da Montecitorio perché finiti sotto la soglia di sbarramento del 4% o perché non ripescati con il meccanismo del miglior perdente, se coalizzati.
La controprova — sugli effetti indesiderati della legge Calderoli — emerge per esempio dal raffronto del bottino elettorale di Sel e quello del Pdl: il partito di Vendola con un milione e 90 mila voti (3,2%) ha portato casa ben 37 deputati che rappresentano quasi la metà  dei 97 seggi ottenuti alla Camera dal partito di Berlusconi (7 milioni e 300 mila voti, 21,5%). Che dire poi dell’asimmetria tra la rappresentanza alla Camera di Sel (37) e quella della Lega che ha 18 deputati pur avendo avuto quasi un milione e 400 mila voti (4,08%). Emblematico poi il parallelo tra il Centro democratico alleato di Bersani che con lo 0,49% dei voti (circa 170 mila voti) ha fatto eleggere 6 deputati guidati dal barese Pino Pisicchio. Con 50 mila voti in più (ovvero lo 0,64%), la Destra di Storace federata con Berlusconi ha dato esito zero. Mentre Fratelli d’Italia che di voti ne ha presi più di 665 mila si è fermata a 9 seggi alla Camera. E lo stesso Antonio Ingroia ha dovuto gettare dalla finestra i quasi 770 mila voti di Rivoluzione civile (2,25%), così come è risultato vano il tentativo di Oscar Giannino che ha convinto più di 380 mila elettori (1,11%). Se questi due partitini fossero stati coalizzati, rispettivamente con Bersani e con Monti, oggi avrebbero decine di rappresentanti alla Camera.
Al Senato, il distacco tra la coalizione di Bersani e quella di Berlusconi è di circa 281 mila voti a favore dei progressisti ma Pd e Sel non hanno il numero di seggi sufficiente per governare l’aula perché hanno perso, a favore di Pdl e Lega, i premi di maggioranza regionali in Lombardia, Veneto, Campania, Puglia, Abruzzo e Sicilia. E questo vuol dire che chi ha la maggioranza alla Camera non ce l’ha al Senato. Ma si lamenta anche Giorgia Meloni (FdI) perché il suo partito è rimasto senza senatori: «Abbiamo presentato alle Corti d’Appello una memoria» contro l’interpretazione del Viminale «perché la legge non prevede alcuna soglia al Senato se non nel caso in cui una coalizione raggiunga il 55%…».
Il Porcellum, infine, non dice una parola chiara anche sul partito di maggioranza relativa. La Cassazione ha confermato che il M5S è il primo partito con 8.691.406 voti mentre il Pd è secondo con 8.646.034 voti. Se però si sommano i voti ottenuti all’estero, 94.041 per Grillo e 288.092 per Bersani, il Pd conquista la prima posizione.


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