Rosa di cattolici per il Colle l’ultima offerta di Bersani per chiudere la partita del governo

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È L’ULTIMA offerta targata Bersani per chiudere la doppia partita governo-Quirinale. Una rosa di tre moderati per la corsa al Colle, che consenta di coinvolgere il Pdl. E di mettere allo stesso tempo spalle al muro i Cinque stelle, come avvenuto per i presidenti di Camera e Senato. Tre autorevoli ex parlamentari, tutti con incarichi di prestigio alle spalle. Tratto comune: la matrice cattolica che dia comunque il segno della discontinuità .
UN SOTTILE filo bianco che porta ai nomi di Franco Marini, Sergio Mattarella e Pierluigi Castagnetti. Eccola la squadra a tre punte sulla quale il segretario dei Democrat e i suoi «ambasciatori» si stanno spendendo nelle trattative assai riservate che vanno avanti sotto il manto delle consultazioni ufficiali. Le due partite del resto si intersecano, impensabile chiudere quella per Palazzo Chigi tenendo fuori il Colle. E lo schema di gioco non può prescindere da un accordo di massima con Berlusconi e i suoi, ma anche con Maroni e la Lega. Con l’obiettivo di strappare la loro «non sfiducia», la mancata partecipazione al voto che consenta a Bersani di strapparla, quella benedetta fiducia al Senato, e salpare. Ipotesi che ancora in queste ore, a sentire dirigenti di prima fascia Pdl come Maurizio Lupi o Mariastella Gelmini, non vengono prese nemmeno in considerazione dal Pdl.
In casa democratica sono convinti invece che sulla tattica del Cavaliere «pronto alle urne» prevarrà  il suo istinto di sopravvivenza, la voglia di non essere tagliato fuori dai giochi che contano. Il premier incaricato Bersani va ripetendo ai suoi che con la bandierina Pd a Palazzo Chigi e i presidenti delle Camere espressione del centrosinistra, non potrà  non trattare sul Colle con l’emisfero destro delle Camere. E offre perciò una terna. Tutta di illustri “ex”, ai quali i grillini potranno opporre come al solito la clausola generazionale, ma tenendo pur conto — è il ragionamento — che la soglia del Quirinale la si varca solo se si sono compiuti i 50 anni e con qualche gallone sulle spalle.
Franco Marini è stato presidente del Senato, figura di moderato e, come dicono anche dal Pdl, «di buon senso». Quando nel 2008 venne incaricato dopo le dimissioni di Prodi, non si accanì oltre e gettò la spugna aprendo la strada verso il voto. E ancor più apprezzata perché il 26 luglio del ‘90, in occasione dell’approvazione della legge Mammì ad opera del sesto governo Andreotti, nella spaccatura che seguì nella Dc, Marini si schierò col presidente del Consiglio e non con gli «indignati». Su di lui pesa forse la mancata rielezione alle ultime Politiche. Proprio quel lontano trascorso della Mammì è invece l’handicap, visto da destra, che grava sul secondo petalo della rosa bersaniana, Sergio Mattarella: giudice costituzionale, è stato ex ministro, nonché padre della legge elettorale post Tangentopoli. Ma nel luglio del ‘90 lui è uno dei ministri diccì che ha preferito dimettersi piuttosto che approvare la norma che spalancava l’etere alle tv del Biscione. Berlusconi, raccontano, non gliel’ha mai perdonata. E infine Pierluigi Castagnetti. Ha fatto un passo indietro, non si è ricandidato, ex segretario del Ppi, vicepresidente della Camera nella passata legislatura, un cattolico con ottimi e longevi rapporti con le gerarchie vaticane. Per non dire del gradimento di Matteo Renzi, che in questa fase conta non poco.
Fin qui l’offerta della trattativa sottotraccia. Se Berlusconi e Maroni dovessero rigettarla, si aprirebbe tutta un’altra partita. In Largo del Nazareno ragionano in queste ore anche dell’eventuale ipotesi “B” che in realtà  implica due strade distinte. La prima conduce su un sentiero “istituzionale”. E porterebbe i democratici a giocare la carta
Pietro Grasso, attuale presidente del Senato, che ha già  ottenuto il consenso (e il voto) di una parte del M5s. Ma potrebbe avere la stessa veste super partes e perseguire le medesime finalità  il nome di Emma Bonino, già  commissario europeo, ex vicepresidente del Senato, madre di tante battaglie sul fronte dei diritti civili, matrice in tal caso spiccatamente laica. In alternativa all’opzione “istituzionale” viene tenuta invece in serbo — e com’è ovvio sponsorizzata ancora da Scelta civica — la pedina Mario Monti, sebbene parecchio segnata dalla campagna elettorale.
Silvio Berlusconi non ci sta tuttavia a giocare di rimessa. Lo ripeterà  anche oggi ai parlamentari convocati d’urgenza alla Camera. Il Pdl, sulla carta, avrebbe una sua rosa. Il Cavaliere insisterà  ancora pro forma sulla conferma di Napolitano, nonostante l’ultima chiusura di ieri. Né l’ex premier spera realmente che Gianni Letta possa spuntarla: nessun candidato Pdl viene considerato «potabile» dal centrosinistra. Il nome di Franco Marini è stato fatto sabato a Palazzo Grazioli, nei conciliaboli seguiti alla manifestazione di Piazza del Popolo. Come pure, a sorpresa, quello di Lamberto Dini, altro ex a suo modo «trasversale». Sarebbe pure gradito al capo ma scarsamente giustificabile al suo elettorato il voto per Luciano Violante. Sullo sfondo, restano le nebbie dell’eventuale impasse. Se il gioco dei veti incrociati dovesse paralizzare la scacchiera, lo sbocco potrebbe essere un nome esterno alla politica. Espressioni della società  civile,
outsider ma di assoluto prestigio come il giurista Gustavo Zagrebelsky, l’ex garante per la Privacy Stefano Rodotà , l’ex presidente del Cnel e attuale del Censis, Giuseppe De Rita. Pedine sulle quali, proprio per la loro natura, i Cinque stelle potrebbero alla fine convergere. Il 15 aprile in teoria si va in aula per votare, ma le regionali in Friuli del 21 aprile costringeranno allo slittamento a fine mese, dieci giorni di tempo per le tre minoranze finora disaccordi su tutto.


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