Chà¡vez, avanzi il successore

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CARACAS . Una data simbolica: 11 anni fa il popolo a tre giorni dal golpe riportava in sella il presidente eletto Il Venezuela torna alle urne, per la terza volta in sei mesi. Oggi, 18.854.935 elettori (su una popolazione di quasi 30 milioni di persone) si recano ai seggi per eleggere il successore del presidente Hugo Chà¡vez, morto il 5 marzo a causa di un tumore. Due i candidati principali: per il chavismo, il presidente incaricato, Nicolas Maduro; per l’opposizione, Enrique Capriles Radoski della Mesa de la Unidad Democratica (Mud). Gli altri sono Marà­a Bolà­var, del Partido Democrà¡tico Unido por la Paz y la Libertad; Reina Sequera, di Poder Laboral; Eusebio Méndez, di Nueva Visià³n para mi Paà­s; Fredy Tabarquino, di Juventud Organizada; e Julio Mora, dI Unidad Democrà¡tica. Cinque nomi rimasti sullo sfondo di una campagna elettorale lampo, iniziata il 2 aprile e conclusa l’11.
Dieci giorni di confronto aperto in un paese che, dal primo governo di Hugo Chà¡vez, nel 1998, ha nel voto il culmine della «democrazia partecipativa e protagonica» conclamata nella nuova Costituzione. Nell’ultima presidenziale del 7 ottobre, vinta da Chà¡vez su Capriles con il 54,42% dei voti contro il 44,97%, è andato alle urne oltre l’80% dei venezuelani. In base a un sistema automatizzato e affidabile, testato da tutti gli organismi internazionali, Tibisay Lucena, presidente del Centro nazionale elettorale (Cne) sarà  in grado di comunicare i risultati in giornata: due o tre ore dopo la chiusura dei 39.018 seggi, rimasti aperti dalle 6 del mattino a quelle del pomeriggio in tutto il paese. All’estero potranno votare oltre 100.000 venezuelani, quasi 40.000 residenti negli Stati uniti e più di 6.000 nella vicina Colombia. Preferenze che, in base alle proiezioni, dovrebbero andare in maggioranza alla destra. Tutti i sondaggi danno vincente il candidato governativo, con un vantaggio di almeno 10 punti sul suo avversario.
Lo schieramento di opposizione registra però una sensibile rimonta del proprio rappresentante e, come durante le elezioni del 7 ottobre, sostiene che la partita si giocherà  al fotofinish. La volta scorsa, Capriles ha subito riconosciuto la propria sconfitta. Questa volta, le cose potrebbero andare diversamente. Davanti a una moltitudine di operai, Maduro ha firmato un documento del Cne, in cui s’impegna a riconoscere i risultati, quali che siano. Il suo avversario, invece, ha accusato Tibisay Lucena di parzialità , ha organizzato manifestazioni davanti al Cne e ha proposto un polemico documento d’impegno alternativo. «La destra vuole invalidare le elezioni», ha detto il leader chavista, esibendo documenti interni alla Mud. Il governo ha anche denunciato la presenza di paramilitari colombiani e di un piano destabilizzante concordato tra settori della Mud e golpisti salvadoregni.
Armi da guerra provenienti da un’impresa Usa sono state sequestrate nello stato Lara, governato dall’opposizione. Diverse persone sono state arrestate con l’accusa di aver sabotato la rete elettrica, ora presidiata dalla Forza armata nazionale bolivariana. Il 14 aprile è una data altamente simbolica per il paese. Lo stesso giorno di 11 anni fa, il popolo riportava in sella il presidente eletto, Hugo Chà¡vez Frias, deposto tre giorni prima da un colpo di stato: organizzato dai vertici imprenditoriali, dalle gerarchie ecclesiastiche e da militari antichavisti con la complicità  dei grandi media e col solito contributo Cia.
Nei filmati d’epoca diffusi in tutto il paese, Capriles – leader del primo partito della coalizione, Primero Justicia, e allora sindaco del municipio Baruta – compare fra i più attivi partecipanti alle violenze. Un’immagine che contrasta con il discorso politico che ha tenuto in questa campagna, consolidando un approccio inaugurato contro Chà¡vez: incalzare il candidato bolivariano sul suo stesso terreno, enfatizzare problemi reali o presunti, e proporre – in caso di vittoria – un «governo di unità  nazionale» per recuperare i settori più moderati del campo governativo.
Maduro ha promesso di continuare la politica sociale del suo predecessore, basata sulla ridistribuzione della rendita petrolifera, sulla sovranità  nazionale e sul «socialismo umanista bolivariano»: un sistema capace di ridurre il peso dell’impresa privata rispetto a quella pubblica e sociale e garantire i diritti economici e civili. Il vincitore assumerà  l’incarico il 19 aprile.


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