Il leader accerchiato difende la linea: le aperture sono nel nostro percorso

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ROMA — «Non ho alcuna intenzione di gestire questa partita delicatissima in una logica da bunker, non ho mai pensato che tutto debba ruotare attorno a me…». Pier Luigi Bersani smentisce la descrizione di un leader isolato e arroccato, rinchiuso nella ridotta emiliana e pressato ai fianchi dai dirigenti «dialoganti» del Pd. Ma il segretario resta convinto che la sua linea sia l’unica spendibile e che non ci siano alternative alla logica del «doppio binario». Confronto «con tutti» sul Quirinale e poi «governo del cambiamento».
La tenaglia in cui lo hanno stretto uno dopo l’altro Veltroni, D’Alema, Renzi, Fioroni, Franceschini è riuscita, se non altro, a smussare gli spigoli di una posizione che spacca il partito. Il ragionamento di Bersani è adesso più flessibile e morbido nei confronti del Pdl. Ma la sostanza non cambia di molto: «Nessuna grande coalizione, un governissimo è per noi impensabile, non è questa la soluzione che sblocca il Paese. Ci siamo già  passati con Monti e non ha funzionato. Sarebbe la palude… E poi, a parte un paio di renziani, tra i parlamentari del Pd non c’è nessuno che lo voterebbe, un esecutivo così».
A giudicare dalle riflessioni di Bersani in queste ore, la traiettoria non è granché mutata. Se Matteo Orfini teme che sia in atto «una conversione a u», il percorso politico non si discosta troppo dal tracciato originario: «Larghissima condivisione sulle riforme e nella scelta del nuovo capo dello Stato». Bersani non ha in mente strappi e intende procedere col suo stile, «un passo alla volta». Prima si vota il capo dello Stato, poi si pensa al governo. Dario Franceschini ha parlato di «esecutivo di transizione» e l’intervista che l’ex segretario ha rilasciato al Corriere è stata letta come una svolta, se non come una plateale rottura. Bersani, anche per ricompattare il partito, vuole invece che si sappia come le aperture al Pdl di Franceschini e Roberto Speranza «stanno dentro al percorso che abbiamo scelto». «Bersani non è isolato — assicura Davide Zoggia —. Anche quelle posizioni si muovono nel solco della direzione nazionale». La chiave del piano di Bersani è la responsabilità  per il bene del Paese, ma senza scambi sottobanco o accordi al ribasso. La formula è quella che il direttore Claudio Sardo sintetizza su L’Unità  con l’espressione «compromesso democratico». L’idea, cioè, di consentire la nascita di un governo «sotto la responsabilità  del Pd» in un momento drammatico per l’Italia, fiaccata da una crisi che può portare al suicidio. In cambio di cosa? La domanda, che molto infastidisce Bersani, è destinata per ora a restare senza risposta. Certo non in cambio di un Guardasigilli amico o di un presidente scelto come garante dei «problemi personali di Berlusconi», come ha lasciato intendere il capogruppo al Senato Luigi Zanda.
Per ora, nelle trattative che preparano l’incontro di metà  settimana con il Cavaliere, i bersaniani in soldoni hanno offerto pochino: legittimazione piena sul piano politico, la guida della Convenzione per le riforme e qualche strapuntino parlamentare. La richiesta invece è corposa, si tratterebbe in sostanza del via libera di Berlusconi alla nascita di un esecutivo Bersani. Prospettiva che il segretario non ha affatto abbandonato, come certifica su Twitter il portavoce Stefano Di Traglia: «Il governo di cambiamento che nascerà  dovrà  dare risposte vere ai fatti di Civitanova e non inseguire il confuso teatrino di questi giorni». Ma come dovrebbe nascere, questo benedetto governo di minoranza? Nel Pd nessuno lo sa. «Ci sono tanti modi per farlo partire», allude a stratagemmi parlamentari un dirigente molto vicino al leader, il quale delinea un esecutivo di minoranza che, in un anno o due al massimo, dovrebbe metter mano alla riforma elettorale e ad alcune misure urgenti per la crescita. Dove il non detto è la speranza di ottenere un sostegno trasversale, anche dai dissidenti grillini… Domani Bersani riunirà  i gruppi, per concordare la strategia sul presidente della Repubblica e anche per tastare il polso ai democratici, in grandissima fibrillazione. «Elucubrare sul governo è inutile» avverte Enrico Letta, il vice che fa da cerniera tra il segretario e quanti guardano a un governo del presidente come piano B: «L’elezione del Quirinale sarà  determinante per capire se la legislatura muore o va avanti».
La sensazione prevalente, vista anche la manifestazione annunciata da Bersani contro la povertà , è che il voto si stia avvicinando. Al Nazareno aleggia il sospetto che il fronte dei «dialoganti» miri a costringere Bersani al passo indietro per far largo a Renzi. Il leader a lasciare non pensa affatto, eppure, per allentare l’accerchiamento, ribadisce che se il problema è lui è pronto a farsi da parte. Ipotesi che diverrebbe concreta se mai prendesse forma lo scenario delle larghe intese con il Pdl: «Se la proposta cambia, sono io che non ci sto».
Monica Guerzoni


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