«È un lager, va chiuso»

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NEW YORK. «Non ci piegheremo dinanzi allo sciopero della fame di alcuni detenuti a Guantanamo, né ci faremo intimorire dalla loro protesta: è soltanto un gesto simbolico per attirare l’attenzione del mondo su Guantanamo…». Così dichiarò ufficialmente una settimana fa il portavoce militare Robert Durand, di fronte all’agitazione collettiva dei detenuti che entrava nel suo terzo mese e che registra di fatto 136 detenuti che rifiutano il cibo su 166.
La risposta delle autorità  non si è fatta attendere: mentre lo sciopero della fame dilagava, all’alba di sabato scorso c’è stata un’irruzione violenta da parte dei secondini che ha scatenato il panico nel settore Cam6 del lager, dove gran parte dei detenuti ha accesso a uno spazio comune ricreativo per consumare cibo e pregare.La squadra addetta all’estrazione forzata dei prigionieri dalle celle di Cam 6 ha sparato proiettili di gomma «non letali», ferendo alcuni detenuti che poi sono stati trasferiti nelle celle di massimo isolamento di Camp 5.
Per giustificare l’irruzione dei secondini il rapporto parla di oscuramento degli sportelli delle celle e il boicottaggio del sistema audio e video che consente di monitorare i detenuti. Le note ufficiali sottolineano che le condizioni dei detenuti non destano preoccupazione. «Si è trattato di una misura cautelativa, adottata per garantire la loro sicurezza e per motivi di interesse nazionale», ha dichiarato in un comunicato il portavoce militare di Guantanamo Robert Durand. Di fatto, i legali che assistono i detenuti non hanno piu il permesso di accedere a Guantanamo per accertare le condizioni reali dei propri assistiti sino al prossimo 26 aprile. Tutte le notizie frammentarie che circolano provengono dalle telefonate dei detenuti. Ieri anche il New York Times ha dato il via a una campagna per la chiusura, in tandem con Amnesty International, pubblicando una lettera aperta in cui si sottolinea che «questo è il momento di aumentare la pressione sulla Casa Bianca»,
Tredici dei l36 detenuti che progressivamente si sono uniti nella protesta e allo sciopero della fame collettivo sono stati costretti alla nutrizione forzata mediante intubazione nasale. A questo riguardo già  una settimana fa Navi Pillar, presidente dell’Alto Commissariato dell’Onu, da Ginevra pronunciava una aspra e determinata strigliata istituzionale nei confronti dell’amministrazione Obama. Un invito a «chiudere Guantanamo», un carcere aperto «in violazione del diritto internazionale» e una condanna della pratica dell’alimentazione forzata, definita una forma di «violenza e tortura nei confronti dei detenuti, che non tiene conto del loro mancato consenso».
Peter Maurer, presidente della Croce Rossa Internazionale, è stato tre settimane a Guantanamo proprio per verificare le condizioni dei detenuti impegnati nello sciopero della fame e stilare un rapporto riservato da inviare al governo statunitense. Lasciando il «Gulag» americano di Cuba – nello stesso giorno in cui è avvenuta l’incursione armata dei secondini e veniva ordinato ciò che in gergo viene chiamato lock-down del carcere, con l’instaurazione del controllo «massimo e totale» e il divieto di accesso ai legali dei detenuti – ha sollecitato Obama a risolvere urgentemente il dilemma del limbo legale in cui versano i 166 detenuti di Guantanamo da ben 11 anni. Quelli condannati a «detenzione perpetua» come gli 86 detenuti che hanno avviato la protesta. Dopo essere stati prosciolti da ogni accusa di terrorismo, sono in attesa di essere trasferiti nei loro paesi d’origine. Tra i tredici sottoposti a nutrizione forzata c’è Abel Hikmil, tunisino di 48 anni, a Guantanamo dall’inizio, giunto al 43° giorno di sciopero della fame. In isolamento ha già  tentato il suicidio. La sua legale Cori Crider è stata informata dell’accaduto dalla lettera di un detenuto, nella quale c’è scritto che Hikmil è stato portato via in ambulanza e che non è chiaro se sia ancora vivo o meno.
La lettera è datata 11 marzo ma il ministero l’ha inoltrata solo due giorni fa a Crider. «Molti dei miei assistiti mi raccontano al telefono che non hanno mai visto condizioni simili – ha detto all’Associated Press l’avvocato – e ribadiscono che non hanno alcuna intenzione di morire a Guantanamo senza fare rumore».


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