«La bolla populista può esplodere Ma le élite italiane aprano gli occhi»

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«L’unione monetaria è esattamente il disastro che io e altri avevamo detto sarebbe stata, eppure è stupefacente come le vittime restino leali», osserva lo storico dell’Università  di Harvard.
A chi si riferisce quando parla di «vittime»?
«Agli italiani, o ai greci. Malgrado tutto, in maggioranza sono ancora favorevoli all’euro».
Si direbbe che le elezioni abbiano segnalato l’esatto contrario. Anche se poi i grandi elettori hanno rieletto un presidente europeista come Giorgio Napolitano.
«Non credo sia stato un voto anti-euro, piuttosto è stata un’espressione di insofferenza per l’establishment. In Italia, la disillusione verso i partiti precede la crisi. Il ricambio delle strutture politiche era un processo già  avviato da prima».
Dunque il populismo è prodotto dall’avversione alle «caste», non dalla lunga recessione?
«In parte è così. Poi, certo, uno choc finanziario di queste dimensioni schiaccia il centro e rafforza le estreme. Siamo nella fase in cui il populismo ormai domina e l’Italia è diventata ingovernabile. Non si capisce come la sinistra moderata possa prendere il controllo, il centrodestra è screditato e la lezione di questa crisi, a differenza degli anni 30, è che i populisti non possono andare loro stessi al governo».
Lo dice perché lei pensa che i sistemi politici di oggi siano più maturi e resistenti?
«Ci sono delle differenze. In certi Paesi questa recessione si sta dimostrando peggiore che negli anni Trenta, e probabilmente è anche il caso dell’Italia. Ma si parte da livelli di reddito molto più alti di allora».
C’è chi pensa che, se si rivotasse presto, il Movimento 5 Stelle crescerebbe ancora. Non crede?
«La situazione attuale non è certo la migliore per andare alle urne. Ma se si guarda all’Olanda o alla Grecia, che hanno forti partiti populisti, il messaggio è chiaro: a un certo punto gli elettori chiedono ai candidati di finirla con le stupidaggini e di mettersi al lavoro. Quando le carte sono in tavola, i cittadini smettono di protestare e vogliono un governo. Per questo è possibile che a un certo punto Beppe Grillo si dimostri una bolla che esplode».
Lei che sbocco si augura?
«Potremmo assistere a un esito positivo, con Matteo Renzi che a un certo punto va al governo e prosegue le politiche di competitività  che Mario Monti aveva cercato di avviare. Ma in Italia il wishful thinking, il pensare che i propri auspici diventino realtà , è pericoloso. Ricordo ancora il Forum Ambrosetti a Cernobbio a settembre scorso: tutti dicevano che dopo le elezioni avremmo avuto una stagione di montismo. L’abbiamo visto».
Intende dire che in Italia le élite sono così distaccate dalle persone comuni da non capire più il loro Paese?
«Le élite di Villa d’Este partivano dall’idea che nel Paese ci fosse un consenso sulle riforme, ma non c’è. Quello delle riforme è un processo doloroso che produce benefici solo con il passare del tempo. Gli italiani, élite e gente comune, sono sempre stati europeisti perché consideravano che Roma fosse incurabile. Monti è l’incarnazione di questo italiano europeo, il prodotto dell'”Ambrosetti consensus“. Ma le elezioni sono nazionali, si vincono sull’economia nazionale».
Come vede la situazione in prospettiva?
«Sono preoccupato. L’anno scorso la Bce di Mario Draghi ha controllato la situazione con l’opzione degli acquisti di titoli di Stato. Ma perché la Bce possa intervenire, occorre che un governo lo chieda e prenda degli impegni. E sia a Roma che a Madrid i governi sono paralizzati dalla crisi politica, non possono chiedere aiuto a Draghi».
La cancelliera Merkel offrirà  concessioni?
«La posizione tedesca è profondamente contraddittoria. La Germania beneficia moltissimo dell’euro, ma non lo riconosce e non vuole assumersi la responsabilità  di stabilizzarlo. Merkel dev’essersi sentita tradita dall’esito delle elezioni in Italia. Prima esisteva un patto: il Sud Europa prosegue le sue riforme e la Germania permette che la Bce intervenga a sostenerlo. Non è andata così. E la Francia non può più mediare: è diventata irrilevante, priva di leadership, sul punto di cadere nella crisi anch’essa».
Lei ne sarà  felice, no? In fondo l’aveva previsto…
«Forse dovrei. Il problema sono i ragazzi. Io ho figli da uno a 19 anni d’età . Il più grande studia a Hong Kong. Se i miei figli fossero italiani, direi loro di uscire al più presto dal Paese. Si sta creando una generazione perduta. La presunzione dei burocrati che hanno voluto architettare l’euro sta facendo soffrire milioni di giovani».
Federico Fubini


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