Ma i vertici temono il crollo finale e chiedono al segretario di restare

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Il segretario ha dato la sua cambiale per le dimissioni postdatate ed è scomparso. Deputati a senatori si guardano negli occhi, o, almeno cercano di farlo, perché lo sguardo di ognuno sfugge altrove, perso nella preoccupazione. Un gruppetto di colonnelli privi di generali chiede al consigliere politico di Bersani, Miguel Gotor, di prendere lui le redini dell’assemblea. Il neo parlamentare si guarda attonito e poi dice: «Io? Perché mai, non sono neanche iscritto al Pd!».
È una scena, e non farà  l’insieme, ma la dice lunga su quello che sta accadendo nel Partito democratico. Bersani è già  sepolto nei pensieri di tutti e viene riesumato solo quando la paura di fare la sua stessa fine attanaglia il gruppo dirigente. Franceschini, Fioroni ed Epifani, tanto per fare tre nomi, chiedono a Bersani di rimangiarsi le dimissioni, o, quanto meno, di congelarle fino al Congresso che verrà .
Gli ex ppi vorrebbero che Bersani cambiasse idea, e portasse lui il partito fino al congresso, perché temono che la dipartita politica del segretario coincida con un bel «game over» per tutti loro. E non vorrebbero togliere il disturbo adesso, né tanto meno intendono assoggettassi all’era renziana. Ma nonostante i loro sforzi e le loro perplessità , un treno è già  partito ed è difficile che si fermi prima del traguardo.
Renzi guarda da Firenze quel che accade a Roma e fa mostra di disinteressarsene, ma non è così. Il sindaco è disposto ad aspettare ancora. Non oltre una certa data però. Renzi immagina un «governo che duri un anno al massimo, non di più e che poi riporti il Paese alle elezioni». Ma anche gli altri leader del Pd non riescono a immaginare un futuro che scavalchi governo, partiti, e timori. La dirigenza del partito su questo è stata chiara, pure con Napolitano: «Noi siamo pronti anche a fare un governo del presidente, ma non può essere uno del Pd a presiederlo». No, niente Enrico Letta, piuttosto meglio il presidente dell’Istat Giovannini: più il governo è politicamente scolorito più è facile portare l’intero gruppo parlamentare a votare la fiducia.
I vertici del Partito democratico sono preoccupatissimi dell’incidenza che avranno il nuovo presidente e il nuovo governo: «Andiamo avanti, ma con grande cautela perché non possiamo dare vita a un governo a cui Berlusconi può staccare la spina quando vuole», è stato l’ammonimento di Letta. E nessuno ha avuto da ridire, nemmeno quel Matteo Renzi che si immagina un Pd diverso: «Andiamo pure avanti, tanto il governo dura un anno al massimo». Quel che basta per preparare il centrosinistra alla sfida elettorale che verrà , quella con il Pdl. Nel frattempo Renzi aspetta di capire se gli conviene tentare la sfida congressuale o se, piuttosto, deve tenersi lontano dalle beghe del partito e pensare solo alla candidatura a premier del centrosinistra. In questo caso potrebbe essere l’attuale presidente dell’Anci Graziano Delrio a guidare il partito.
Ma ciò non vuol dire che il sindaco si defilerà : «Matteo, sei l’ultima carta che abbiamo», gli ha detto Dario Franceschini. E la pensano nello stesso modo anche Veltroni, D’Alema e i Giovani turchi che puntano su di lui per il ricambio generazionale del gruppo dirigente. Il partito comunque regge. A fatica ma regge. Ci sarà  una fuga di qualcuno verso Sel benedetta da Fabrizio Barca, ma non è all’orizzonte una scissione vera e propria. Tutti hanno capito che alla fine dovranno trattare, litigare o accordarsi con Renzi. È quello il futuro del Pd. E c’è chi pensa già  di facilitare la strada al sindaco rottamatore, mettendo nel governo Rodotà . Offrirgli un ministero importante, come quello delle Riforme, potrebbe essere il modo per tenere buoni i filogrillini del Pd e costringere il Movimento 5 stelle a misurarsi con la politica reale. Ma queste sono solo elucubrazioni e idee buttate lì: il futuro immediato del Partito democratico prevede una direzione per domani e un’assemblea nazionale tra una decina di giorni, dopodiché si veleggerà  in mare aperto.
Maria Teresa Meli


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