Pochi punti-chiave e nomi «forti» Tutti i «suggerimenti» del Quirinale

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Silvio Berlusconi gli ha aperto la strada dell’incarico ma potrebbe sbarrargli il passo per Palazzo Chigi, qualora il Pd non si attenesse ai patti.
E se per un verso non è ancora chiaro a cosa punti davvero il Cavaliere — se le pulsioni per un ritorno al voto siano più forti della volontà  di chiudere l’accordo per il governissimo — è certo che è stato lui a fare il nome del vice segretario democratico a Napolitano, durante le consultazioni. «La nostra preferenza va ad Amato», aveva detto il leader del Pdl l’altro ieri al capo dello Stato: «Ma se fosse Enrico Letta non avremmo alcun pregiudizio».
E c’è un motivo se «pregiudizio» è stata la parola chiave usata da Berlusconi: quel termine — insieme a «inciucio» — va cancellato dal lessico politico, solo così il centrodestra potrà  assecondare il progetto del «gabinetto di convergenza» a cui mira il presidente della Repubblica. Per il Pdl, insomma, il programma e la squadra di governo devono poggiare su questa sorta di preambolo. E il fatto che il Pd sia rimasto all’idea di doversi alleare con gli «impresentabili», che sui giornali e nelle loro dichiarazioni, molti esponenti democratici mostrassero questa forma di repulsa verso i berlusconiani, ha incrudito il negoziato.
Ecco la ragione che ha indotto ieri mattina Alfano alla durissima nota contro un eventuale esecutivo «balneare», che — raccontano fonti autorevoli del Quirinale — ha irritato il capo dello Stato. «Noi non ci possiamo fare umiliare e non ci faremo umiliare», ha urlato al telefono il segretario del Pdl ad alcuni interlocutori del Pd. È una linea concordata con il Cavaliere, che è propenso (in parte) ad accettare la richiesta di Napolitano sulla necessità  di indicare «personalità  non divisive» per il governo, e dunque inclini al dialogo, ma che non intende farsi scegliere da altri la delegazione del suo partito.
Il punto è questo, e va al di là  dei nomi da inserire nella lista dei ministri. È un nodo che rivela le opposte strategie di Pd e Pdl: con i democratici — timorosi delle reazioni della base — che mirano a un gabinetto «scolorito» e i berlusconiani che vogliono un esecutivo «politico», unica garanzia per la durata e il successo dell’operazione. «Altrimenti — diceva ieri Brunetta durante un vertice del partito — invece di farci insultare sarebbe meglio andare alle elezioni». Comprendendo la pericolosità  del passaggio e intravvedendo «il lato oscuro» del Cavaliere — pronto a far saltare il banco — i centristi hanno preso le parti del Pdl. Di qui l’opera di mediazione tentata dal montiano Mauro con il Pd, per far capire che «è venuto per voi il momento di dare, non di ricevere».
Anche perché, secondo Berlusconi, il Pd ha già  ottenuto tanto. E usando l’assunto di Enrico Letta — secondo cui «non c’è stato un vincitore alle elezioni» — il centrodestra ha ricordato come i Democratici abbiano già  incassato le presidenze delle Camere e la presidenza del Consiglio. Pertanto il Pdl chiede al premier incaricato ministeri congrui al peso specifico dei propri gruppi parlamentari. Non accetta che nei ruoli chiave siedano dei tecnici, né condivide la tesi del Quirinale che vorrebbe veder affidato il dicastero dell’Economia a un rappresentante di Bankitalia e vorrebbe lasciare al Viminale la Cancellieri.
Di più, nel vorticoso giro di contatti, Alfano ha spiegato che «la trattativa deve passare da un rapporto preferenziale con noi». Gli altri si accomodassero a ruota. Tra questi c’è anche Monti, che ieri pomeriggio è salito in forma privata al Colle. Il premier uscente non solo ha il veto del Pdl e quello meno esplicito del Pd, ma è anche un problema per Scelta civica, siccome — se ci fosse lui nell’esecutivo — non ci sarebbe molto spazio per altri. È in questo dedalo che si sta muovendo Enrico Letta, in questa «terra ignota», in bilico tra la riuscita o il fallimento del suo tentativo.
Certo, il premier incaricato può contare sull’appoggio forte e incondizionato di Napolitano, sui suoi «suggerimenti». Il più importante il capo dello Stato lo ha offerto quando, nel bel mezzo dello scontro, con il Pdl che giocava al rialzo, ha invitato il prescelto per palazzo Chigi a cambiare il piano originale, che prevedeva di chiudere subito la trattativa per non rimaner vittima dei veti incrociati. Sarebbe preferibile «ribaltare lo schema» è stata l’indicazione giunta dal Colle: meglio avviare le consultazioni presentando un programma di pochi punti da sottoporre ai partiti, per vincolarli, meglio inserire nel negoziato il percorso parallelo della Convenzione per le riforme, in modo da garantirsi un orizzonte di almeno un anno. E solo dopo lavorare alla squadra di governo.
Così farà  il premier incaricato, in questo modo si presenterà  oggi alle forze politiche, in attesa che Berlusconi torni dagli Stati Uniti e suggelli l’eventuale accordo. Questa è la sfida, che vede in queste ore il giovane dirigente democratico impegnato insieme al giovane segretario del Pdl, Alfano, sulle barricate per la trattativa. Storie parallele, che non si sa se confluiranno nella stessa esperienza di governo. Un evento che Enrico Letta vorrebbe si realizzasse, così ha confidato l’altro ieri sera, quando aveva capito di ricevere l’incarico: «Angelino, non puoi lasciarmi portare la croce da solo come un cireneo». Tra di loro non ci sono «pregiudizi». Ma non basta.
Francesco Verderami


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