Bce e “falchi” più ricchi con i salvataggi Berlino guadagna 67 miliardi grazie ai Piigs

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QUALCUNO possibilmente Angela Merkel o il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann — dovrebbe spiegare ai tedeschi che prestare non è la stessa cosa che regalare. E garantire un prestito è un’altra cosa ancora. D’altra parte, come dimostra qualsiasi banca, a prestar soldi si può anche guadagnare. Insomma, l’idea che, dall’inizio della crisi, il contribuente di Monaco o di Amburgo venga sistematicamente borseggiato da avidi debitori meridionali è una leggenda metropolitana, raccontata, peraltro, non solo in tedesco. Ad alimentare l’equivoco provvede anche la stampa anglosassone che definisce abitualmente la Germania come il paymaster, l’ufficiale pagatore della crisi europea. Ma è un’immagine fasulla. In tre anni e mezzo di crisi europea, il contribuente tedesco ha sborsato pochi spiccioli e, comunque, meno degli altri. Non ha perso un solo centesimo, come non ne hanno persi gli altri paesi del Nord, Finlandia, Austria, Olanda.
Anzi, ha principescamente guadagnato decine di miliardi di euro e altri ne guadagnerà  ancora. Se si mettessero a far di conto, i falchi del Nord, tedeschi o finlandesi, non solo smetterebbero di recriminare sulla crisi europea e sui neghittosi paesi del Mediterraneo, ma potrebbero chiedere, egoisticamente, un bis.
In tre anni e mezzo di crisi, gli unici euro effettivamente sborsati dai contribuenti europei sono i quasi 53 miliardi di euro, prestati alla Grecia nel 2010. In cifra assoluta, la Germania ha prestato più degli altri, ma solo perché è il paese più grande: in rapporto al Pil, il contributo tedesco — ha rilevato, tempo fa, una grande banca, Crédit Suisse — è inferiore a quello dell’Estonia e anche dell’Italia.
Dopo il prestito alla Grecia, ci sono stati interventi europei per altri 400 miliardi di euro nei paesi in difficoltà . Ma sono stati finanziati dal fondo europeo di salvataggio che ha rastrellato i relativi soldi sul mercato, emettendo obbligazioni. E’ vero che questi titoli sono garantiti dai paesi europei più forti, in testa la Germania. Ma perché queste garanzie entrino in gioco e producano perdite, occorre che i paesi che hanno ottenuto gli aiuti — Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Cipro — dichiarino bancarotta e non restituiscano i prestiti. Oggi, è un’ipotesi remota. Irlanda e Portogallo stanno uscendo dalla situazione di emergenza e dal programma di aiuti e, presto, torneranno a rivolgersi direttamente ai mercati. Cipro è, comunque, minuscola e una bancarotta spagnola è sempre stata ritenuta pressoché impossibile. Quanto alla Grecia, secondo Bruxelles il risanamento è a buon punto. Ma gli interventi della Bce a rastrellare titoli, per cui alla fine i falchi, sia pure pro quota, potrebbero essere chiamati a coprire le perdite? Ci sono 200 miliardi di euro in Btp e in Bonos, acquistati dalla Bce nella seconda metà  del 2011, per tamponare la crisi italiana e spagnola. Béh, si è rivelato un investimento con i fiocchi: acquistati quando i rendimenti toccavano il 6-7 per cento, quindi a prezzi stracciati, possono essere rivenduti oggi, con i rendimenti scesi al 3-4 per cento, a prezzi assai più alti. La Bce non rivela i suoi profitti, ma la Finlandia sì. «Come conseguenza imprevista della crisi, la Finlandia avuto benefici enormi» dichiara candidamente alla Reuters Martti Salmi, capo degli affari internazionali del ministero delle Finanze di Helsinki. Nel 2012, grazie ai profitti sui titoli greci, spagnoli e portoghesi in portafoglio, la banca centrale della piccola Finlandia ha versato 227 milioni di euro nel bilancio statale. Nel 2011, erano stati 180 milioni. Quest’anno sono previsti 360 milioni di euro. In proporzione, la Bundesbank ha probabilmente guadagnato molto di più.
Ma i veri guadagni tedeschi e falchi in genere li hanno fatti altrove, risparmiando sugli interessi dei loro titoli di Stato. Mediamente, il Bund paga due punti percentuali di interesse in meno agli investitori, rispetto a tre anni fa. Secondo il gigante delle assicurazioni Allianz, in questo modo Berlino ha risparmiato oltre 10 miliardi di euro. Secondo l’autorevole istituto Ifw, il risparmio è stato di 8,6 miliardi nel solo 2011 e altri 9,6 miliardi nel 2012. E, siccome molti titoli venduti sono a scadenza decennale, i guadagni continueranno: Allianz calcola che il beneficio per il bilancio tedesco sarà , complessivamente, di 67 miliardi di euro.
Sono ancora monetine, rispetto al vero e grande guadagno: il mantenimento della moneta unica. Di fronte al montare della propaganda antieuro, in vista delle elezioni, la Fondazione Bertelsmann ha commissionato uno studio sugli effetti del ritorno al marco. Per le esportazioni, il volano dell’economia tedesca, sarebbe un colpo durissimo: una moneta assai più cara, come il marco, comprometterebbe la competitività  delle merci tedesche. Lo studio calcola che il Pil sarebbe, ogni anno, più basso dello 0,5 per cento sono quasi 100 miliardi di euro l’anno.


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