Cie, una “polveriera ingestibile”. Il rapporto Medu

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ROMA – I Cie, Centri di identificazione e di espulsione, sono “centri di internamento”, chiusi al mondo esterno, poco trasparenti dal punto di vista dei costi. Luoghi che violano la dignità  umana, in particolare non garantiscono il diritto alla salute. Sono le conclusioni a cui giunge il team di Medici per i Diritti umani, che ha realizzato l’unica indagine indipendente su tutti i centri, dopo l’estensione massima della detenzione amministrativa da sei a 18 mesi. La ricerca si chiama “Arcipelago Cie. Indagine sui centri di identificazione ed espulsione”, pubblicata da Infinito Edizioni e realizzata con il supporto di Open Society Foundations.

L’indagine si è svolta nell’arco di un anno, da febbraio 2012 a febbraio 2013, e si è articolata in quattordici visite agli undici CIE operativi sul territorio italiano. Altri due centri, quello di Brindisi e il Serraino Vulpitta di Trapani, non sono stati visitati perché chiusi per ristrutturazione. A quindici anni dalla loro istituzione, prima come Cpt e poi trasformati in Cie, queste strutture vengono bocciate su tutta la linea.

L’opacità  che circonda queste strutture si manifesta nelle molte restrizioni all’accesso e nel fatto grave che, scrivono gli autori, “nel corso dell’intera indagine non è stato inoltre possibile conoscere dalle Prefetture i costi complessivi dei singoli Cie”. Per quanto riguarda l’accesso, le prefetture hanno risposto alle richieste di ingresso dei Medici per i Diritti Umani con tempi molto variabili: dai sette giorni di Bari agli oltre tre mesi di Crotone e Lamezia Terme.  Quasi la metà  delle visite sono state condizionate dall’impossibilità  di accedere alle aree di trattenimento destinate ai migranti. In particolare questo è successo a Torino, Milano, Bari, Crotone e Trapani Milo. “Tale limitazione, sempre motivata da ragioni di sicurezza e di ordine pubblico – si legge nel rapporto – rivela comunque in modo evidente, oltre all’inevitabile tensione interna, le caratteristiche intrinsecamente afflittive e la conseguente chiusura al mondo esterno di queste strutture”. I team hanno potuto incontrare i migranti trattenuti, ma “i colloqui – denunciano i Medu – in molti casi non si sono però potuti svolgere nelle necessarie condizioni di riservatezza, data la presenza di operatori dell’ente gestore o delle forze di polizia”.

Dal punto di vista della struttura, tutti i centri sono accomunati da file di edifici disposti ordinatamente, circondati da recinzioni di sbarre, muri e filo spinato, posti sotto sorveglianza armata. I migranti sono ristretti in recinti simili a grandi gabbie, con “spazi di dimensioni inadeguate ed eccessivamente oppressivi”. In alcuni centri (come ad esempio a Torino, Crotone, Modena e Trapani) i migranti sono confinati in differenti settori permanentemente isolati tra di loro. Questo, secondo Medu, “ha reso le condizioni di reclusione ancora più umilianti e afflittive”. La conclusione della ricerca sul campo è che tali strutture sono “del tutto inadeguate a garantire condizioni di permanenza dignitose ai migranti trattenuti”. Dormitori, mense, servizi igienici, sale ricreative, niente di quello che c’è in un Cie rispetta gli standard minimi di qualità , o come affermano gli autori del rapporto, “apparivano in uno stato di manutenzione inadeguato e in condizioni di pulizia spesso insufficienti”. Particolarmente grave la situazione dei settori maschili di Roma e Bologna, dove “i blocchi alloggiativi si presentavano in condizioni del tutto fatiscenti e, nel caso di Bologna, erano addirittura assenti i requisiti minimi di vivibilità ”.

Per ragioni di ordine pubblico, a causa del clima di tensione, tutti i Cie sono sottoutilizzati. Sebbene secondo i dati forniti dagli enti gestori la capienza massima degli 11 centri monitorati raggiunga i 1.775 posti, la ricettività  reale al momento delle visite era di solo 1.418 posti con un numero di 924 migranti effettivamente presenti. Nell’indagine viene riportata la motivazione addotta dal funzionario di una questura: i centri non sarebbero riempiti al massimo “per evitare che la polveriera dei Cie esploda”. Tra proteste, rivolte e tentativi di fughe di massa, nel corso delle visite – in particolare a Trapani, Gradisca d’Isonzo e Bologna – è emerso in modo evidente non solo il malessere dei migranti trattenuti, ma anche il profondo disagio di molti operatori, e spesso anche di agenti di polizia, nel fare fronte a dei contesti per molti versi “ingestibili”. (Raffaella Cosentino) 

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