Il Pdl: c’è chi vuole far saltare la pacificazione

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ROMA — Il commento più politico giunge dal difensore del Cavaliere, Niccolò Ghedini. «Non credo che ci sia una correlazione tra questa sentenza e la stabilità  politica del governo», argomenta dopo la conferma in appello della condanna di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset. Le sue parole hanno un significato particolare perché testimoniano che nel mondo berlusconiano si tende a escludere ripercussioni (o meglio ritorsioni) sulla vita dell’esecutivo Letta. Quasi tutti i commenti mettono in evidenza due concetti. Il primo: si continua a ricorrere all’uso politico della giustizia per fare fuori l’avversario che non si riesce a battere con la politica. Il secondo: una parte della magistratura non accetta che si instauri una stagione di pacificazione. Daniela Santanché e Augusto Minzolini, considerati appartenenti all’ala dura, temono che si voglia destabilizzare il quadro politico. La prima sostiene che «oggi qualcuno sta operando per fare saltare il governo Letta e l’ipotesi di pacificazione nazionale». Il secondo, già  direttore del Tg1 e oggi senatore del Pdl, scrive su twitter: «4 anni e 5 di interdizione per Cav: rito ambrosiano non vuole pacificazione per cui colpirà  il bersaglio grande per far saltare il tavolo. Ovvio».
In genere, però, gli esponenti del Pdl indirizzano i propri strali polemici nei confronti dei settori politicizzati della magistratura. Renato Brunetta afferma che «si tratta di un accanimento disgustoso: la sentenza è tutta politica, anzi antipolitica perché colpendo lui si favoriscono i disegni disgregatori del nostro Paese». Michela Vittoria Brambilla rileva che con questi atti «si colpisce la credibilità  delle toghe». Renato Schifani è convinto che «continui la persecuzione nei confronti di un leader politico che ha il consenso di dieci milioni di elettori». Gli fa eco Fabrizio Cicchitto che avverte: «Non cadremo nella provocazione insita in tutto ciò e cioè non faremo ricadere sul governo le conseguenze di ciò che sta avvenendo sul piano politico-giudiziario». Concorda Mara Carfagna: «Il Pdl non si farà  intimidire e continuerà  a sostenere lealmente il governo Letta».
Luca D’Alessandro fa notare, per esempio, che «il Palazzo di Giustizia di Milano appare sempre più come quel giapponese armato fino ai denti, guerrafondaio e inconsapevole della fine della guerra che cerca con ogni mezzo di spazzare via il nemico di sempre». Francesco Paolo Sisto invita, però, a non disperare. «Nel nostro sistema normativo — argomenta in punto di diritto — la parola condanna corrisponde a sentenza definitiva. Invece, quella emessa nei confronti di Berlusconi è una semplice decisione di secondo grado, di appello e quindi non definitiva che sarà  ovviamente impugnata e portata all’attenzione di autorevoli giudici quali i togati della Corte di Cassazione, sicuramente ben lontani dal clima del Palazzo di Giustizia di Milano». E ora, invoca Lara Comi: «Se nel Pd c’è qualche garantista batta un colpo».
A sinistra le reazioni sono articolate. Se Massimo D’Alema si limita ad osservare che «non commento vicende giudiziarie», ben altro è il tenore dei giudizi che si raccolgono negli ambienti dei grillini e tra esponenti come Antonio Di Pietro. L’ex pm rileva che «ancora una volta daranno la colpa ai giudici e non a chi non rispetta le leggi». I pentastellati salutano con un applauso, durante la loro assemblea, la notizia della condanna del Cavaliere. Roberta Lombardi, la capogruppo a Montecitorio, esorta «la giunta per le elezioni del Senato, appena sarà  costituita, ad accelerare sulla ineleggibilità  di Berlusconi». Ironizza Stefano Rodotà : «C’è chi vuole impedire la pacificazione, che ci volete fare…».


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