Il Sudafrica e i miei Balcani prigionieri della «tela del ragno»

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Fino a ieri, entrambe le cose sembravano impossibili. Perché Nikolic si era dimostrato uno dei più duri fra i nazionalisti serbi… ma forse questo è solo uno dei tanti miracoli della politica. Lo prova il fatto che gli stessi nazionalisti che prima lo appoggiavano adesso gli si oppongono.
Io non so, in effetti, se domani Nikolic, come tanti sperano e si aspettano, pronuncerà  quella parola terribile e definitiva: genocidio. Dura, certo, ma giusta.
So tuttavia che è necessario comprendere, e conoscere la storia, per poter giudicare. Il fatto è che, all’interno degli spazi balcanici, non è stato sempre concesso al passato di diventare storia. Una difettosa coscienza di sé ha spesso prodotto e stimolato svariate interpretazioni delle proprie vicende nazionali, scegliendo di volta in volta quelle più favorevoli, trascurando l’obiettività  e alterando la scala dei valori. È proprio ciò cui abbiamo assistito nei rapporti tra Serbia e Kosovo, oltre che tra Serbia e Bosnia, in questi ultimi anni. Ibridi tra passato e presente hanno creato ostacoli ai nuovi processi politici e deformato le memorie. Il giudizio si è appoggiato più sulla mitologia che sulla realtà  dei fatti (e si è tornati alla leggendaria «Battaglia del Kosovo», che si è svolta nel 1389!).
Del resto, dopo ogni spartizione dei territori balcanici, è sempre rimasto qualcosa di insoluto e di incompiuto. Dall’incompiutezza e dalle questioni in sospeso sono regolarmente scaturite interpretazioni distorte e decisioni sbagliate. Le «verità » serba, bulgara, o anche greca, croata, albanese, musulmana, cattolica, ortodossa — e le altre svariate «verità » particolari — sono state considerate le uniche e giuste, ciascuna per sé. In tal modo «la verità  sui Balcani» è stata relativizzata negli stessi Balcani e al di fuori di essi. I tentativi delle potenze straniere di stabilizzare le varie situazioni, affermando regole di comportamento e disegnando confini — compiute d’altronde in nome dei propri interessi e obiettivi — hanno suscitato di volta in volta il malcontento di coloro i quali si sono sentiti lesi nei propri diritti o inascoltati.
Sarà  possibile ora, cogliendo l’occasione offerta dal nuovo corso serbo e da Nikolic, chiudere la partita bosniaca in modo soddisfacente per tutti? Io non so se l’esempio sudafricano, la costituzione cioè di una Commissione per la Verità  e la Riconciliazione simile a quella che mise fine alla dolorosa eredità  dell’apartheid, possa funzionare in Bosnia. E tuttavia, perché non provare? Partiamo pure da là , pronti tuttavia ad adattarci cammin facendo a nuove necessità  e situazioni.
La conferenza tripartita di Yalta nella Seconda guerra mondiale tentò di dividere i Balcani in due zone di interesse, inseguendo la simmetria là  dove tutto era asimmetrico. Qualcosa di simile è avvenuto anche con gli accordi di Dayton, che se da un lato misero fine alla guerra in Bosnia e poi nel Kosovo, oggi non sono più produttivi e tanto meno sufficienti. Sulla scacchiera ogni mossa, ogni spostamento di figure, cambia la posizione complessiva ed apre il gioco in una direzione diversa, talvolta del tutto inaspettata. Parte del lavoro, di solito la più importante, è rimasta sempre da rifare o da correggere: rinviata ad altri, «più favorevoli» tempi, quelli che arrivavano troppo tardi o non si presentano mai. Ora potrebbe presentarsi l’occasione di portare a termine il lavoro incompiuto, restituendo dignità  a una storia monca.
Il pericolo ci è stato fatto presente da uno dei migliori conoscitori dei Balcani, Jovan Cvijic, che si è servito della metafora del «ragno» nel suo celebre saggio «La penisola Balcanica» scritto all’inizio del Ventesimo secolo: «Simili al ragno, gli uomini tessono intorno a sé una ragnatela di pregiudizi storici, di vanaglorie nazionali, di alterati modi di vivere…». Questo ammonimento dello studioso serbo si è rivelato profetico.
*Scrittore croato. Tra i suoi libri, «Pane nostro», «Breviario mediterraneo»


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