POLONIA E GRAN BRETAGNA AI CONFINI DELL’EURO

Loading

La decisione di ogni Paese è influenzata tanto dalla storia, dalla politica e dalle sue sensazioni, quanto da freddi calcoli di interesse personale. Entrambe le rotte di volo comportano rischi che i piloti, forse, non vedono con sufficiente chiarezza dalla loro cabina di pilotaggio. Ed entrambi potrebbero cambiare rotta anche ora.
Le tensioni sono affiorate e si sono palesate durante il vertice di Cracovia della settimana scorsa, in occasione di una tavola rotonda polacco-britannica per taluni aspetti molto carica di emotività  e molto diversa nei toni dall’ottimismo condiviso nel nostro primo appuntamento di sei anni fa nell’ex capitale monarchica della Polonia. Un polacco che vi ha preso parte ha detto che «la nostra amicizia si sta raffreddando, di questi tempi», e ha criticato l’«approccio di transazione» nei confronti dell’Ue del governo britannico. Un politico britannico si è chiesto perché i polacchi non dimostrano maggiore gratitudine per tutto ciò che il Regno Unito ha fatto per loro, compresa la sorprendente apertura del mercato britannico del lavoro da parte di Tony Blair per quelli che si sono rivelati essere un milione di polacchi. (Il polacco è oggi la lingua straniera più parlata in Gran Bretagna).
È vero, ha risposto un politico polacco, ciò è stato di grande aiuto quando in Polonia c’era una grave disoccupazione e si è indetto un referendum sull’adesione all’Ue. Ma la Gran Bretagna non aveva alcun diritto di aspettarsi eterna gratitudine. E non tutto quello che la Gran Bretagna ha fatto è stato così vantaggioso per la Polonia. (Nessuno ha pronunciato la parola “Yalta” – tranne il sottoscritto, a bassa voce –, eppure tale parola incombeva nell’aria). E dopo tutto fu proprio uno statista britannico, Lord Palmerston, a dire che «la Gran Bretagna non ha alleati eterni, ma soltanto interessi permanenti ». Beh, così pure la Polonia. Sì, ma
voi stareste decisamente peggio se noi non ci fossimo, hanno gridato i britannici. Uno ha chiesto: «Volete davvero essere lasciati soli (e non vorrei utilizzare questa espressione) alla mercé della Germania?». Al che, un polacco ha risposto: «Se il Regno Unito lascia l’Ue, non sono certo i demoni tedeschi quelli di cui abbiamo timore, ma quelli meridionali… i demoni francesi». Perché la Polonia intende proprio fare parte di un’Europa settentrionale forte e disciplinata. Dopo essersi sottratta all’Europa orientale dominata dai sovietici, ed essersi reinventata come regione centrale europea, la Polonia adesso qualche volta parla di sé come di un paese dell’Europa settentrionale.
Intanto, questa settimana 130 membri della Camera britannica dei Comuni hanno votato per esprimere il loro cruccio per il fatto che il referendum sull’appartenenza della Gran Bretagna all’Ue che il primo ministro David Cameron si era impegnato a indire per il 2017 non rientra nel programma legislativo del governo per questa sessione parlamentare. (I liberaldemocratici, partner nella coalizione di governo insieme ai conservatori, non lo consentiranno).
Centoquattordici dei dissidenti erano backbencher (parlamentari senza incarico, ndt) dello stesso Cameron. Uno di loro quindi presenterà  il disegno di legge come private member bill’s (così è detta la proposta di legge presentata da un membro del parlamento inglese che non è ministro,
ndt), con il pieno sostegno del partito conservatore.
“Benissimo, da soli!” urlano, come il soldato britannico in piedi sulle Bianche Scogliere di Dover in una celebre vignetta del 1940. La “storia isolana” della Gran Bretagna andrà  avanti di gran lunga meglio se noi britannici ci affrancheremo dai ceppi che ci vincolano a un continente sclerotico e a una zona euro malata. Per capirlo è sufficiente mettere a confronto gli ultimi dati della crescita statunitense con quelli dell’eurozona: là  fuori c’è tutto un mondo di economie emergenti dinamiche, per abbracciare le quali la Gran Bretagna post-imperialista, con il suo inglese, la lingua universale, parte avvantaggiata. È per altro sorprendente che due ex ministri di spicco del governo conservatore – Nigel Lawson, che in qualità  di Cancelliere dello Scacchiere voleva avvicinare la Gran Bretagna al sistema monetario europeo, e Michael Portillo, per metà  di origini spagnole – abbiano già  dichiarato che preferirebbero che la Gran Bretagna lasciasse l’Ue dopo un referendum in-or-out, a risposta secca.
Al contrario, l’attuale governo polacco sta facendo tutto il possibile per entrare nel cuore dell’Europa. Anche qui la storia e la carica emozionale rivestono
un ruolo di primo piano. Dopo essere stati tagliati fuori dall’Occidente per decenni dalla Cortina di ferro, e dopo essersi sentiti per secoli alla periferia dell’antico nucleo carolingio d’Europa – Una zona periferica europea: così lo storico polacco Jerzy Jedlicki ha intitolato il suo libro sulla posizione della Polonia del XIX secolo nei confronti della civiltà  occidentale -, i polacchi non vogliono perdere l’occasione di trovarsi, finalmente, al cuore stesso dell’Europa. E se questo significa far parte di una Europa tedesca… beh, che sia! Per chiunque conosca la storia della Polonia del XX secolo – gli edifici di Cracovia sono ricoperti di lapidi commemorative, dedicate a coloro che persero la vita sotto l’occupazione nazista, e Auschwitz è poco più in là  – tutto ciò è sbalorditivo.
Nondimeno, è del tutto comprensibile. Le élite polacche giudicano il modello economico tedesco molto più solido di quello britannico. Un quarto degli scambi commerciali del Paese avviene con la Germania. Nell’Unione europea la Germania è un amico potente. Berlino, per di più, contribuisce a buona parte del bilancio dell’Ue, dal quale la Polonia è di gran lunga il singolo Paese più grande a trarre beneficio. Oltre a ciò, grazie all’accordo settennale firmato nel febbraio scorso, continuerà  a farlo anche in futuro. Ma che storia e storia! È scontato che ricevere un bel mucchio di quattrini da Bruxelles incoraggi l’amore di una nazione per l’Ue! E il fatto stesso che i nemici di un tempo siano diventati partner dà  vita a una carica emozionale positiva, come la vecchia ma bistrattata amicizia con la Gran Bretagna non è in grado di fare.
Così, mentre il ministro degli esteri polacco Radek Sikorski (che ha studiato in Gran Bretagna) auspica una maggiore leadership da parte della Germania nella zona euro, egli dice anche che la Gran Bretagna è un Paese che desta «particolari preoccupazioni». (In polacco la frase suona un po’ come “esigenze particolari”, come si è soliti dire dei bambini che hanno difficoltà  di apprendimento.) In più, egli sostiene che qualora la Polonia entrasse nella zona euro, potrebbe far parte di un gruppo di punta di tre-cinque Paesi: quello dal quale la Gran Bretagna si sta tirando indietro di sua volontà .
Eppure, il fatto che gli aerei si stiano sfiorando con le ali mentre volano in direzioni opposte non significa necessariamente che continueranno a percorrere rotte di volo divergenti. La maggior parte dei polacchi è contenta che il loro Paese sia nell’Ue, ma oggi soltanto un polacco su tre vorrebbe adottare l’euro. Dagli esempi di Spagna e Italia gli esperti polacchi hanno imparato che prima di entrare in quel club ristretto occorre essere ben preparati. Se la Germania farà  quanto serve per permettere alla zona euro di tornare alla crescita, io credo che la Polonia farà  bene a entrarvi, ma prima che ciò accada serviranno molti più anni, più valutazioni e una meticolosa preparazione. (Al nostro primo meeting di Cracovia, nel 2008, ci fu detto che la Polonia si era posta l’obiettivo di entrare a far parte della zona euro nel 2012).
Intanto, mentre il dibattito britannico si fa leggermente più reale, i rischi di lasciare l’Ue diventano più evidenti. Già  così è straordinario che tanti affari finanziari in euro si continuino a fare al di fuori dell’attuale zona euro, a Londra. Il presidente di TheCityUk, che rappresenta il settore dei servizi finanziari britannici, dice che l’idea che la City possa prosperare fuori dall’Ue è una vera “sciocchezza”.
Insomma, può anche darsi che lo Spitfire britannico e quello polacco finiscano col volare più o meno in una stessa direzione, dopo tutto, quantunque a estremità  opposte di uno squadrone dispiegato in tutta larghezza, e con un amichevole Messerschmitt in volo in mezzo a loro.
(Traduzione di Anna Bissanti)


Related Articles

Azioni lampo, uomini equipaggiati: la lezione della Georgia

Loading

Le operazioni russe nella crisi ucraina si sono basate su quattro pilastri. Flessibilità. Equipaggiamento adeguato. Rapidità d’esecuzione. E tattiche della guerra fredda rivisitate

Sudan Nella terra di nessuno si combatte per il petrolio

Loading

È la ricchezza del giacimento di Heglig, in arabo “dattero del deserto”, a spingere nuovamente alle armi il Nord e il Sud Lo scontro rischia di provocare una crisi umanitaria. E intanto i colloqui di pace richiesti dall’Onu sono interrotti

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment