Si dà  fuoco per salvare la casa all’asta

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VITTORIA (Ragusa) — Per difendere la casa pignorata dalla banca perché non era riuscito a pagare un debito di 10 mila euro, un muratore disoccupato di 64 anni che nelle carte dell’ufficiale giudiziario leggeva il fallimento della sua vita ha deciso ieri di farla finita. Con un accendino e una bottiglia di benzina brandita come clava.
Anticipo di una tragedia che uno dei due poliziotti presenti alla tesissima «trattativa» non è riuscito ad evitare, pur saltandogli addosso per bloccarlo. Tutti inzuppati, il muratore e gli agenti, compresa la moglie e una delle due figlie. Istanti di terrore. Poi, la scintilla, le fiamme che sfigurano i volti, gambe e braccia arroventate, le grida, i vicini che corrono con secchi e tubi, l’allarme, le sirene, la corsa in ospedale, i voli in elicottero e la prima notte al Centro ustioni di Catania per il muratore in prognosi riservata come il poliziotto col 40 per cento del corpo ustionato.
È l’epilogo del dramma consumato fra le brutte e povere case di via Brescia, una strada periferica di Vittoria, a due passi dalla parrocchia del Sacro Cuore, a pochi chilometri da Modica e Comiso, in un profondo Sud ricco per i pomodorini e il vino di qualità , le spiagge del commissario Montalbano e i resorts di charme, ma segnato da una crisi che dilaga. La stessa che s’abbatte sugli immigrati e su chi, come Giovanni Guarascio, 64 anni, non riesce più a fare nemmeno il bracciante o il manovale. Disperato davanti alla casa assegnata a un impiegato che considera la sua «sciagura», come diceva fino a ieri fra smorfie di forzata ironia perché il destino vuole che sia proprio Sciagura il cognome della «controparte aggiudicataria».
Linguaggio burocratico ammorbidito dal garbo dell’ufficiale giudiziario, Sara Cavallaro, una donna comprensiva, ma obbligata ad eseguire la procedura avviata nel 2001 e conclusa con la messa all’asta dell’immobile aggiudicato al signor Sciagura per 26 mila euro.
Un verdetto subito come una condanna ingiusta da Guarascio che sperava nella misericordia per la sua «prima casa» dove aveva perfino scardinato la porta e murato l’ingresso con i conci di tufo. Disperata illusione di farla sparire come numero civico e annullare la procedura di sfratto per non essere buttato fuori con moglie e figlie, costrette negli ultimi mesi a raggiungere i tre vani del primo piano entrando solo dal garage, una saracinesca sgangherata, spalancata ieri mattina per la trattativa finale.
Con Sciagura e Guarascio l’uno di fronte all’altro, protagonisti di una storia che sembra riproporre i contorni dei film neorealisti d’un tempo. «Sono pure io fuori casa e ho già  pagato la banca». «La casa era ed è mia». Accanto al primo, l’avvocato Daniele Drago deciso a difendere le ragioni del cliente davanti alla collega Giulia Artini, a sua volta immedesimata nella tragedia di una famiglia che non sa dove andare, decisa a mediare, a provarle tutte per un rinvio, per una proroga. Negoziato animato dalle voci dello sfrattato contro la banca, i giudici, la «controparte», il governo, mentre la moglie cercava di placarlo in un garage dove arrivavano parenti e vicini.
Deve essere stato il crescendo dei toni a preoccupare Sara Cavallaro. Una telefonata al 113, l’arrivo di due volanti, la prima che va via dopo pochi minuti, i pazienti faccia a faccia di Guarascio con i due agenti, Antonio Terranova, 35 anni, e Marco Di Raimondo, 32, entrambi di Modica, in servizio nel commissariato di Vittoria diretto da Rosario Amarù, tranquillizzato via radio dai suoi uomini.
E in effetti sembrava che gli agenti fossero riusciti a convincere Guarascio a desistere, a mollare, a lasciare la casa, magari con l’aiuto di parenti disposti a ospitarli. Sensazione errata.
Subito capovolta da quella bottiglia afferrata da un ripiano del garage e trasformata in una molotov per fiamme che devastano una comunità  dove si rischia di morire e di uccidere per dieci mila euro.


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