Soffiate e investimenti in Svizzera bufera sull’ex vicecapo dei servizi
NAPOLI — Sette milioni di euro ricavati dal clan camorristico Polverino con la realizzazione di un centro commerciale. E dieci milioni di euro del Fec, il Fondo edifici di culto del Viminale. Soldi della camorra e denaro pubblico, investiti in Svizzera allo stesso modo: attraverso il produttore cinematografico e promotore finanziario napoletano Edoardo Tartaglia e il broker di Lugano Rocco Zullino. I due sono in carcere con l’accusa di aver riciclato i 7 milioni del clan Polverino. Ma le indagini della procura di Napoli hanno fatto venire alla luce anche le «trame oscure» che avrebbero legato Tartaglia al prefetto Franco La Motta, ex vice capo del-l’Aisi, il servizio segreto civile, destinatario di una perquisizione eseguita dai carabinieri e indagato da due uffici giudiziari. A Roma, dal pm di Roma Paolo Ielo, che ipotizza un peculato per la vicenda del Fec, fondo di cui La Motta è stato direttore tra il 2003 e il 2006.
E a Napoli, dai pm Antonello Ardituro, Marco Del Gaudio e Maria Cristina Ribera che, con il procuratore aggiunto Giovanni Melillo ipotizzano associazione per delinquere con Tartaglia e rivelazione del segreto d’ufficio. Il prefetto potrà replicare alle accuse nei successivi passaggi dell’indagine.
Il primo a fare il nome dell’ex numero 2 dell’Aisi ai pm napoletani era stato il pentito del clan Polverino Roberto Perrone: «Tramite il cugino, prefetto La Motta dei servizi segreti, Tartaglia ci informava delle indagini», ha detto Perrone. Sostiene il collaboratore di giustizia che Nicola Imbriani, imprenditore ora in carcere perché ritenuto legato alla cosca, avrebbe «frequentato a Roma » il prefetto, il quale gli avrebbe regalato biglietti per il festival di Sanremo e un’agenda con il logo dei Servizi segreti. Imbriani avrebbe detto di essere riuscito «a bloccare indagini in corso e “silurare” un pm» proprio grazie a La Motta. Dichiarazioni che ora i
magistrati dovranno verificare trovando i doverosi riscontri. Ma il collaboratore di giustizia ha delineato un contesto fatto non solo di presunte “soffiate”. «Tartaglia afferma Perrone – era persona che si occupava di operazioni finanziarie e di trasferimento di valuta all’estero per numerose persone e ai massimi livelli. E per come mi diceva Imbriani, godeva in questa attività delle coperture assicurategli dal prefetto». Una di queste operazioni sembra essere quella dei dieci milioni di fondi Fec investiti presso l’istituto svizzero Hottinger. I soldi però non si trovano. Il Viminale, che presenterà anche un esposto, chiede chiarimenti. E Zullino, si legge negli atti depositati dopo la convalida dei fermi, «ritenutosi abbandonato» e «messo alle strette dai vertici del Fec», minaccia di rivelare «le oscure trame intrecciate da Tartaglia e dal prefetto La Motta». In una telefonata del 3 maggio, Zullino si sfoga: «Devi mettere a posto una c.ta la metti a posto! Ma devi mettere a posto una cosa colossale…
io non sono un mago». Tartaglia prova a rasserenarlo: «Però non puoi colpevolizzare la gente così». E, più avanti, aggiunge: «Non bisogna tirare dentro lui, capito». Zullino scuote il capo: «Comunque adesso aspettatevi di tutto, i casini li avete fatti voi».
Quello dei fondi Fec non è l’unico affare sotto esame. Dalle indagini sono emersi riferimenti a conti cifrati come “Pluto” e “Allegra”. Nella perquisizione nei confronti di un collaboratore di Tartaglia, Klaus Behrend, è stata sequestrata una chiavetta usb con un file intitolato “Aisi Roma”. «Si tratta di uno dei documenti della Hottinger su cui Tartaglia mi chiedeva di compiere operazioni, ma non sono cosa significhi Aisi», si è giustificato Behrend. Il sospetto dei pm è che Targaglia e il suo entourage abbiano raggirato numerosi investitori, che sarebbero stati rassicurati con la predisposizione di una falsa documentazione contabile.
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