Sul governo si scaricano le tensioni dell’ala «non ministeriale»

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Fra il Pd che la ritiene indispensabile e il Pdl che la vede possibile solo dopo quelle istituzionali, si coglie una distanza siderale; e un probabile nulla di fatto che scaturisce dalla volontà  di Silvio Berlusconi, ma forse non solo sua, di lasciare le cose come stanno. La convinzione del centrodestra è quella di vincere e di ottenere il premio di maggioranza strappato a febbraio dal Pd, verrebbe da dire inutilmente. La seconda certezza è che il Pdl non smetterà  l’offensiva contro la magistratura: tanto più col rischio di un’altra condanna pesante per Berlusconi.
La richiesta di sei anni di reclusione e dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, avanzata ieri dalla procura di Milano, ha esasperato le tensioni. La sfilza di reazioni liquidatorie contro i magistrati conferma la volontà  di accreditare il processo su Ruby come una montatura persecutoria; e di negare che la minorenne marocchina abbia avuto rapporti sessuali col Cavaliere. Il risultato è di aumentare le incomprensioni fra un governo che cerca di stare alla larga dallo scontro politica-giustizia; e un partito berlusconiano intenzionato e quasi costretto a tenere questo fronte apertissimo, perché è in gioco la sopravvivenza dell’ex premier: sebbene giuri di non volere una crisi su un tema sensibile ma non molto popolare neppure nell’elettorato di centrodestra.
«Falsità  ispirate dal pregiudizio e dall’odio», protesta un Berlusconi deciso a difendersi anche in futuro dal processo e non nel processo. Il contraccolpo politico è oggettivo, nonostante Massimo D’Alema inviti a non far cadere il governo per colpa di una possibile sentenza negativa a fine giugno, forse il 24. Si va delineando in maniera sempre più netta una situazione che vede palazzo Chigi sostenuto e difeso dall’ala governativa del Pd e del Pdl; ma criticato e logorato dalle componenti di entrambi i partiti che non hanno trovato spazi ministeriali e giocano sul terreno facile e insidioso dell’ambiguità  dell’alleanza, allargata a Mario Monti.
I toni delle ultime ore contraddicono il tentativo di rinsaldare quello che il presidente del Consiglio, Enrico Letta, chiama «lo spirito di Spineto». La permanenza per un giorno nel convento del paesino toscano doveva mostrare una compagine governativa unita nonostante le differenze. Ma l’esito dell’operazione è come minimo controverso, perché la questione della giustizia e le difficoltà  sui provvedimenti economici lasciano l’esecutivo in bilico: fra volontà  di fare e spinte demagogiche che hanno un chiaro sapore elettorale. Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo comincia a mostrare qualche sbandamento sulla questione della diaria dei suoi parlamentari.
«Chi vuole tenersi i soldi se li terrà . Vuole fare carriera? Si mette fuori da solo», minaccia un Grillo esasperato. Eppure, palazzo Chigi non appare in condizioni di approfittare della crisi della forza d’opposizione più consistente. L’esigenza di vietare comizi e manifestazioni ai ministri, dopo quella di Brescia di sabato scorso, dimostra la difficoltà  di tenere ben separati vita di partito e di governo; e la pressione che i membri dell’esecutivo ricevono da un elettorato radicalizzato. Venerdì il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare la sospensione della rata dell’Imu e il rifinanziamento della cassa integrazione. Ma si avanza a vista, nella consapevolezza che ognuno alla fine «farà  le sue scelte in libertà », avverte Enrico Letta. È la presa d’atto di una precarietà  inevitabile.


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