Il premier: paghiamo le cambiali di Silvio

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Tre ore di dibattito, un consenso «unanime» al premier Mario Monti sulla road map che dovrà  portare «entro gennaio» al varo delle misure per la crescita del Paese. L’ultimo Consiglio dei ministri del 2011 non produce effetti speciali, serve piuttosto al premier a prendere la rincorsa in vista dell’accelerazione programmata con il nuovo anno. «Mi aspetto – scandisce Monti aprendo la riunione – che siate tutti pronti, ognuno per il proprio ambito di competenza, a portare idee e proposte per quando ci rivedremo. Nel frattempo vi chiedo il massimo di coesione, la stessa che abbiamo avuto finora». Appuntamento a Palazzo Chigi il 13 gennaio per un primo scambio di opinioni, mentre venerdì 20 è la data scelta per il varo della manovra che il capo del governo ribattezza «Riparti-Italia». 
Eppure qualche sassolino dalla scarpa il premier non rinuncia a toglierselo. Non sono piaciuti a Monti certi giudizi pesanti arrivati negli ultimi giorni dal Pdl e quel martellamento dei giornali di destra sullo spread che avrebbe dovuto scendere e non è sceso. Così, pur senza polemizzare direttamente con Berlusconi, il capo del governo ammette che «è vero che il differenziale Btp/Bund è tornato ai livelli di ottobre-novembre» (quando c’era il Cavaliere al suo posto, ndr). Tuttavia «a quel tempo la Bce era costretta a massicci interventi sui mercati per tenere basso lo spread, mentre oggi questi acquisti sono ridotti al minimo. Non si può fare assolutamente un confronto, non sarebbe corretto». Monti anzi non sembra drammatizzare troppo questo oscillare dell’asticella intorno ai 500 punti base, visto che «adesso siamo senza la rete della Bce» e «l’Italia si tiene a galla da sola». Un altro piccolo segnale di fastidio per critiche che ritiene ingenerose il premier sembra rivolgerlo verso quanti – da destra e stavolta anche da sinistra – lo descrivono come troppo prono ai diktat di Bruxelles e della Merkel. Appena tre giorni fa Berlusconi l’aveva accusato di aver varato una manovra troppo «recessiva», ma Monti (sempre senza mai pronunciarne il nome) si difende anche da questo capo d’accusa: «Dobbiamo raggiungere i “target” previsti dalla Strategia “Europa 2020”, entro la fine di marzo la Commissione attende i dettagli del nostro Programma nazionale di riforme. Si tratta di impegni presi da chi ci ha preceduto, a noi spetta l’onere di portarli avanti». Insomma, se ci sono delle cambiali da pagare in Europa, ricorda il Professore, sono quelle sottoscritte da Tremonti e Berlusconi. Il nuovo governo non può fare a meno di onorarle. In effetti il piano Europa 2020 fu presentato dall’allora ministro Ronchi a fine ottobre dello scorso anno. Poi ad aprile del 2011 Tremonti andò a consegnarlo in Europa. Così come la maggiore vigilanza europea sui conti nazionali è figlia diretta del Patto Euro plus, firmato appunto dal Cavaliere. 
In ogni caso Monti si trova stretto fra l’incudine e il martello. Perché non c’è solo l’Europa da soddisfare, anche i partiti della sua maggioranza si fanno ogni giorno più aggressivi. «L’Italia – sostiene il Pdl Osvaldo Napoli – rischia di essere spacciata a causa delle politiche fiscali e di bilancio messe in atto da chi è stato chiamato al governo per salvarla». Maurizio Gasparri mette in guardia il governo sul pacchetto liberalizzazioni allo studio del ministro Passera. «Vogliamo liberalizzazioni vere che riguardino i potentati dell’energia, dei trasporti, dei servizi pubblici locali e delle coop rosse, non aggressioni a singole categorie che avrebbero tutto il diritto di ribellarsi». Ma anche il Pd vive con crescente difficoltà  il sostegno a Monti. Non ci sono più soltanto i Fassina e i Damiano ad alzare la voce, anche un moderato come Francesco Boccia ricorda che «il partito democratico chiede il via libera all’accordo con la Svizzera in materia di lotta all’evasione fiscale, un’intesa simile a quelle siglate da Germania e Gran Bretagna con il governo di Berna».
Intanto, nel lungo giro di tavolo a Palazzo Chigi, qualche idea i ministri iniziano già  ad esporla. Passera annuncia che il suo pacchetto infrastrutture è praticamente pronto a partire e sarà  sbloccato da un Cipe ai primi di gennaio. Elsa Fornero definisce l’articolo 18 «un dettaglio», che forse nemmeno sarà  toccato, e invita a considerare «il quadro complessivo» della riforma del mercato del lavoro. Mentre la Guardasigilli Severino richiama la riforma che velocizza il processo civile, «perché dobbiamo dare garanzie alle imprese sui tempi delle cause, altrimenti gli investitori esteri saranno sempre scoraggiati». Anche la giustizia, finita la stagione delle leggi ad personam, diventa un motore per la crescita.


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