«In Italia mancano 1,7 milioni di posti»

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MILANO — L’Ilo boccia Enrico Giovannini, ma anche Elsa Fornero: l’attuale ministro del Lavoro per la sua idea, ancora in fieri, sulla staffetta generazionale; l’ex ministra del governo Monti per aver fatto aumentare le disuguaglianze con la sua riforma. Ma non è soltanto l’Italia, a cui mancano 1,7 milioni di posti per ritornare ai livelli pre crisi, a uscire male dall’ultimo rapporto presentato ieri dall’Organizzazione internazionale del Lavoro. In affanno è la maggioranza dei Paesi avanzati, alle prese con una contrazione della classe media e costretta a trovare il giusto equilibrio tra l’emergenza disoccupazione (in aumento) e l’esigenza di affrontare gli squilibri macroeconomici.

A cinque anni dalla peggiore crisi economica dagli Anni ‘30, più di 30 milioni di posti di lavoro persi non sono stati recuperati. La situazione più preoccupante riguarda le economie avanzate. Di queste appena 6 su 37 hanno registrato tassi di occupazione più alti dei livelli pre-crisi. Si tratta di Germania, Ungheria, Israele, Lussemburgo, Malta e Svizzera. Se però si prendono in considerazione i 65 Stati che pubblicano dati sul lavoro trimestrali, si vede che in un terzo dei Paesi l’occupazione resta inferiore ai livelli del 2007, mentre 22 Paesi ha continuato a cadere in modo costante. In quest’ultimo gruppo, la maggioranza (18) sono economie avanzate, e più della metà appartengono dell’eurozona, Italia compresa, con una flessione di oltre il 3% negli ultimi due anni nel caso di Grecia, Spagna , Portogallo e Cipro. Ma a sorprendere è anche la presenza di quei Paesi spesso presi a modello per il sistema di flex-security, come Danimarca e Olanda. O i campioni del welfare nordico, come Norvegia e Finlandia.

Non che questo possa consolarci, visto che all’Italia sono dedicate importanti critiche. «I lavoratori giovani non dovrebbero prendere il posto di quelli più anziani nel mercato del lavoro», scrive l’Ilo. E «il governo dovrebbe considerare altri mezzi per sostenere l’occupazione giovanile». L’Organizzazione cita l’esempio del sistema di garanzia per mantenere i giovani dentro il mercato del lavoro, gli incentivi all’assunzione dei più svantaggiati (disoccupati di lunga durata o giovani poco qualificati), le borse di formazione, e sforzi da compiere per migliorare l’incontro tra domanda e offerta (skills matching). Con buona pace per la staffetta del lavoro.

Ma ce n’è anche per la riforma Fornero. «La percentuale dei contratti a tempo determinato sull’insieme dei contratti precari è probabilmente aumentata a seguito della riforma Fornero», scrive l’Ilo, osservando che negli ultimi anni l’Italia ha registrato un’ampia diffusione dell’occupazione precaria (contratti involontari a tempo determinato o part-time): a partire dal 2007, il numero dei lavoratori precari è cresciuto di 5,7 punti percentuali ed ha raggiunto il 32% degli occupati nel 2012. Come dire: uno su tre.

Le strade per combattere la disoccupazione, in particolare quella giovanile, semmai vengono dalla fine del mondo. Da Cile e Colombia, non solo grazie a una crescita economica robusta ma anche a una serie di iniziative ad hoc. In entrambi i Paesi l’occupazione è aumentata in media del 3,5% all’anno tra il quarto trimestre del 2007 e il 2012. Nello stesso periodi il tasso di inattività è diminuito rispettivamente del 3,9% e del 5,4%. Inoltre in Cile la disoccupazione giovanile è scesa in modo costante, dal record del 25,1% nel 2009 al 15,8% del settembre 2012, mentre in Colombia si è ridotta dal 23,7% al 21,3%.

E il futuro? Quello prossimo non promette nulla di buono. Almeno per le economie avanzate, che nel 2015 avranno 54,3 milioni di disoccupati. Nel 2007 erano 29,1 milioni, mentre nel mondo i senza lavoro saliranno nel complesso a 207,8 milioni rispetto ai 169,7 di 5 anni fa (quest’anno soo 201,5 milioni).

A stemperare il pessimismo arrivano però le parole di Mario Draghi. «La situazione economica nella zona euro rimane impegnativa, ma ci sono segni di una possibile stabilizzazione», ha detto il presidente della Bce a Shanghai, prospettando «una graduale ripresa a partire dalla seconda parte dell’anno», grazie alla politica monetaria «estremamente accomodante» e alla «crescita delle esportazioni, causata da una crescente domanda estera». Ma proprio ieri il Fmi ha dimezzato le prospettive di crescita per la Germania, con io Pil in salita appena dello 0,3% quest’anno.

Giuliana Ferraino


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