Una deriva rissosa figlia di un leader senza più strategia

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L’espulsione di Adele Gambaro per le critiche a Grillo dopo la sconfitta alle comunali, e l’altra in incubazione di Paola Pinna, però, non sono figlie dello scontro fra «puri e duri» e «dialoganti». La tensione e il nervosismo interno lasciano trapelare lo sbandamento di una forza senza politica.
Per paradosso, il problema è proprio il suo leader, non abituato a governare le difficoltà; e incline a reagire a qualunque critica esterna ma soprattutto interna, anche la più innocua, come se si trattasse di lesa maestà. Grillo ha vinto troppo presto, e troppo. E l’impressione è che sia rimasto sorpreso e spaventato dal successo ottenuto alle politiche di fine febbraio: un trionfo eccessivo rispetto alle sue capacità politiche. Il fatto che ieri il capogruppo al Senato, Nicola Morra, abbia escluso un referendum su di lui perché altrimenti «vorrebbe dire che è stato incoerente e contraddittorio», fotografa impietosamente la parabola in atto: un’involuzione litigiosa.
Può darsi che il referendum dei seguaci su Grillo non avvenga mai. Eppure si moltiplicano gli indizi di una deriva in fieri. L’autoreferenzialità, il rifiuto di essere altro da «comuni cittadini», la purezza antisistema, e un’inesperienza ostentata, all’inizio apparivano una corazza. Tuttora, fra «dirette» in streaming e accuse violente contro i dissidenti, si cerca di riportare la discussione sul finanziamento dei partiti e su altri temi «popolari». Chiunque obietta o dubita viene accusato di farlo «per la diaria». Viene disconosciuto e ostracizzato.
Pochi hanno il coraggio o la lucidità di ammettere che la magia di Grillo si è interrotta. E uno scontro selvaggio, da forza in disfacimento, sta diventando la vera cifra di un movimento che rischia di somigliare a una setta dominata da esecutori spietati della volontà del guru. Il leader appare incombente eppure sempre più distaccato da una realtà parlamentare che finisce per plasmare i comportamenti e non facilita il controllo a distanza. L’ipotesi di una scissione è possibile, non probabile. E comunque, con queste dinamiche, diminuirà presto l’interesse a provocarla: significherebbe solo saldare le fila di un Movimento 5 Stelle declinante.
Il sospetto è che Grillo non possa nè sappia passare dal ruolo di eversore provvidenziale, a quello di interlocutore. L’aspetto più significativo, e per lui preoccupante, è che non intercetta se non in misura residuale l’astensionismo; e che dunque fatica più di tre mesi fa a candidarsi come alternativa. Più che offrire la soluzione alla crisi di credibilità della politica, il suo movimento si accredita come un sintomo esasperato del malessere. Per questo bisogna aspettarsi un livello di aggressività crescente dentro il M5S verso chiunque inviti a guardare in faccia questa realtà scomoda; e all’esterno contro il governo: tanto più se Enrico Letta ottiene risultati.


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