Auto elettriche e centrali “green” la scommessa di Obama per cambiare l’aria negli Usa

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NEW YORK. «Gli Stati Uniti hanno ridotto le loro emissioni nell’atmosfera sotto i livelli di Kyoto. Ci siamo riusciti migliorando l’efficienza delle auto, imponendo nuovi limiti per i gas di scarico, per i consumi energetici delle case. Ma ancora non basta. Nessuno sta facendo abbastanza ». Così parla John Kerry, segretario di Stato, difendendo il bilancio dell’amministrazione Obama sull’ambiente. La sua affermazione non convince tutti. Dagli ambientalisti fino al Washington Post, le verifiche sui dati gli danno ragione solo a metà. La riduzione di emissioni c’è stata per alcuni gas solforosi e per il metano, ma non per altri. Il calo nelle emissioni di CO2 nel 2012 (a 5.290 milioni di tonnellate metriche) è reale, ma non per questo soddisfa gli obiettivi di Kyoto. Su una cosa Kerry e gli ambientalisti sono d’accordo: non basta, bisogna fare molto di più.
Barack Obama è il presidente più “verde” che l’America ricordi dai tempi di Richard Nixon (proprio così: il leader repubblicano travolto dallo scandalo del Watergate aveva creato la potente Environmental Protection Agency). La Brookings Institution, autorevole think tank indipendente, calcola che i posti di lavoro della Green Economy sono saliti da 2 a 3 milioni. «La crescita dell’occupazione nella Green Economy — dice il ricercatore della Brookings Jonathan Rothwell — ha superato quella di ogni altro settore sotto l’amministrazione Obama». Una spiegazione sta nella maxi-manovra di investimenti pubblici che Obama fece approvare dal Congresso all’inizio del 2009. Con il nome di American Recovery and Reinvestment Act, quella legge versò rapidamente 90 miliardi di aiuti alle energie rinnovabili, ai trasporti pubblici meno inquinanti. Anche nel salvataggio dell’industria automobilistica Obama pose delle condizioni: General Motors e Chrysler dovevano sviluppare nuove gamme molto meno inquinanti, ibride ed elettriche. Kate Gordon, esperta del Center for American Progress, osserva che Obama «ha sostenuto la crescita dell’occupazione nella Green Economy non soltanto attraverso la spesa pubblica diretta, ma con interventi indiretti, per esempio cambiando i limiti legali per le emissioni consentite nell’industria dell’auto». Anche grazie alla spinta del governo, la quota delle fonti rinnovabili sul totale della produzione energetica americana ha raggiunto il 14% ed è avviata verso la soglia del 18% nel 2018.
Diversi strumenti di politica industriale sono stati usati per spingere alla riconversione eco-sostenibile. Ecco un esempio concreto, in uno Stato di “vecchia” industrializzazione come lo Iowa. Quando la Whirlpool ha chiuso la produzione di lavatrici nella fabbrica di Newton vicino a Des Moines, una parte dei posti di lavoro manifatturieri si sono salvati riconvertendo gli impianti nella produzione di pale per le turbine eoliche. È stata decisiva una legge (Advanced Manufacturing Tax Credit) che offre il 30% di sgravi fiscali e finanziamenti agevolati per questo tipo di riconversioni.
Chi vede il bicchiere mezzo vuoto, sottolinea che il pianeta continua a correre verso un disastro. Un editoriale del New York Times ricorda che di recente la concentrazione di diossido di carbonio nell’atmosfera terrestre ha oltrepassato per la prima volta la soglia d’allarme di 400 particelle per milioni. «Questo aumenta la pressione su Obama — osserva il quotidiano — perché mantenga le sue promesse di limitare le emissioni da effetto serra». Durante il suo primo mandato, l’America ha vissuto almeno due tragedie ambientali. Nell’aprile 2010 l’incidente alla piattaforma petrolifera della Bp, Deepwater Horizon, ha provocato danni immani nel Golfo del Messico e in tutti gli Stati Usa di quella costa. «Nonostante le multe miliardarie alla Bp — denunciano oggi Bob Graham e William Reilly che presiedono la commissione d’inchiesta — i progressi per riparare i danni all’ecosistema e all’economia locale sono lenti». L’altro campanello d’allarme, nel novembre 2012, è stato l’uragano Sandy: ha dimostrato come gli eventi meteorologici estremi colgano impreparata e vulnerabile perfino una metropoli straricca come New York.
Per spiegare ritardi e delusioni dell’amministrazione Obama, bisogna ricordare il ruolo dell’opposizione di destra. Dalle elezioni legislative di mid-term del 2010, i repubblicani controllano la maggioranza della Camera. Sono in grado di bloccare qualsiasi iniziativa legislativa in questo campo, dalla carbon tax ai trattati internazionali. La trasformazione della destra americana è impressionante. Senza risalire ai tempi di
Nixon, ancora pochi anni fa due leader conservatori come John McCain e Lindsay Graham erano favorevoli a una carbon tax. Oggi l’intero partito repubblicano è al servizio della lobby carbonica. I potenti fratelli Koch, padroni della quarta fortuna d’America e “campioni d’inquinamento” con le loro fabbriche chimiche, dettano l’agenda della destra. Mitt Romney, che aveva approvato leggi ambientaliste avanzate quando era governatore del Massachusetts, da candidato alla Casa Bianca ha stretto i legami con i “negazionisti” che escludono ogni responsabilità umana e industriale nel cambiamento climatico.
Di fronte a questa muraglia di resistenze, Obama ha escogitato una strategia alternativa. Di recente le sue azioni più significative a favore della Green Economy sono avvenute usando il potere esecutivo. In alcuni settori, grazie a leggi pre-esistenti come il Clean Air Act, l’Environmental Protection Agency può agire emanando norme e regolamenti senza passare dal Congresso. È quel che ha fatto con l’industria dell’auto. Oggi gli ambientalisti invocano dall’Epa un intervento altrettanto drastico per abbattere le emissioni delle centrali termoelettriche, il 40% del totale. Un altro campo d’intervento dove l’Epa potrebbe tornare a colpire, sono i limiti alle emissioni degli elettrodomestici e degli impianti di riscaldamento e aria condizionata delle abitazioni.
Uno sviluppo interessante è il rafforzamento di una “lobby verde” che punta a controbilanciare l’influenza politica dei fratelli Koch, dei petrolieri e di tutta la lobby “carbonica”. L’industria carbonica ha versato 64 milioni di dollari di finanziamenti elettorali per la campagna presidenziale di Romney l’anno scorso. Il fronte ambientalista, per non subire questa offensiva del denaro, sta coalizzandosi. È nata una grande alleanza, The Climate Reality Project, in cui confluiscono tante organizzazioni non profit come quella di Al Gore, Alliance for Climate Protection. La Blue-Green Alliance è un’altra realtà politica importante, che unisce ong ambientaliste come Sierra Club, sindacati operai, e anche un numero crescente di industrie che puntano sulle tecnologie verdi. La Silicon Valley californiana è schierata con gli ambientalisti, e proprio lì fiorisce una delle aziende simbolo della Green Economy, quella Tesla che fabbrica una sorta di “Porsche elettrica” e ha una capitalizzazione di Borsa superiore alla Fiat.
Ma uno dei fattori che aiutano il calo delle emissioni di CO2 è assai controverso: il boom del gas naturale. Grazie a nuove tecnologie — le trivellazioni orizzontali e il “fracking”, i cui danni sono denunciati dagli ambientalisti — l’America entra in una nuova Età dell’Oro di sovrabbondanza energetica. Ha superato la Russia nella produzione di gas naturale. Questo le consente di sostituire il gas al carbone nelle centrali termoelettriche, abbattendo il CO2. Ben presto Obama dovrà pronunciarsi sul piano più controverso di tutti: il maxi-oleodotto Keystone XL, che andrebbe dal Canada al Texas. Un altro dossier in lista d’attesa, che attende il pronunciamento dell’Epa e del governo, è il progetto della più grande miniera di rame, oro e molibdeno di tutto il Nordamerica, nella Bristol Bay dell’Alaska. In tutti questi casi Obama è strattonato fra due obiettivi: da una parte la crescita economica; dall’altra il coro di allarme degli ambientalisti. Non sempre gli sarà possibile scegliere la via mediana, come ha fatto nel caso dell’accoppiata fra gas naturale e sviluppo parallelo delle fonti rinnovabili


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