La vergogna dei gulag coloniali

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La repressione brutale della rivolta del Kenya Land Freedom Army fu uno dei momenti più neri nella storia del dominio europeo in Africa «Questa è la storia di un massiccio insabbiamento e 50 anni dopo giustizia è fatta», commenta Caroline Elkins, docente di storia alla Harvard University, autrice di Imperial Reckoning: The Untold Story of Britain’s Gulag in Kenya. Decine di migliaia di ribelli Mau Mau furono uccisi dalle forze coloniali inglesi e da quelle alleate keniane mentre circa altre 150 mila, di cui la maggior parte estranea a ogni legame con i guerriglieri, vennero deportate e torturate nella rete dei campi di concentramento britannici in Kenya con la benedizione della Corona tra il 1952 e il 1961, periodo noto come Kenyan Emergency .

Divulgata in Europa come la crociata per la civiltà dell’esercito britannico contro i barbari kenyoti, l’operazione militare Anvil, il piano Swynnerton e il programma di detenzione e “riabilitazione” Pipeline furono operazioni di pulizia etnica perpetrate dalle autorità britanniche per il controllo agrario in Kenya attraverso la confisca e lo sfruttamento politico ed economico delle popolazioni. La rivolta dei Mau Mau, guerriglieri del Kenya Land Freedom Army, di etnia Kikuyo, il maggior gruppo tribale del Kenya di cui fa parte anche l’attuale presidente Uhuru Kenyatta, fu stanata in quelli che la Elkins definisce i gulag britannici in Kenya durante uno dei periodi più neri della storia del colonialismo. Uomini, donne e bambini furono deportati dalle autorità coloniali britanniche e torturati nei campi di detenzione e lavoro forzato nei distretti di Fort Hall, Embu, Meru, Nyeri Kiambu, Miscellaneous, Coast, Rift Valley e Southern Province.

Ora, dopo più di 50 anni, quella rete, la rete Guantanamo britannica, sepolta nei pochi documenti del Foreign Office sopravissuti all’opera di un’attenta e mirata distruzione, è arrivata nell’aula dell’Alta Corte di Londra grazie alla tenacia di tre sopravissuti ai campi di detenzione di quel periodo. Per tre anni il governo britannico ha cercato, fallendo, di bloccare l’azione legale di Paulo Nzili, Wambugu Wa Nyingi e Jane Muthoni Mara. Nzili fu castrato durante la prigionia, Wa Nyingi detenuto senza accuse e picchiato per 9 anni e Mara fu vittima di abusi sessuali tra cui lo stupro con una bottiglia di soda piena di acqua bollente. Le Guantanamo dell’Impero coloniale inglese sono state risucchiate per anni nel buco nero della più totale amnesia giudiziaria, politica e civile. Oscurate anche durante le ultime elezioni di pochi mesi fa che hanno messo il Kenya sotto i riflettori internazionali. 3 marzo 1959: 11 prigionieri keniani vennero picchiati a morte e dozzine vennero feriti nel Campo di Hola, nei pressi di Garissa, nel Kenya orientale.

Le prime dichiarazioni ufficiali motivarono l’incidente con l’avvelenamento da acqua contaminata. In realtà, ciò che resta delle missive con la Corona, scampate all’opera di “pulizia” dei funzionari di sua maestà – e rese pubbliche dai National Archives l’anno scorso – hanno rivelato quanto Londra fosse a conoscenza dell’altra verità e abbia cercato di sotterrare la vergogna accelerando la concessione dell’indipendenza al Paese africano. La storia del colonialismo e delle relazioni diplomatiche britannico-keniane passa attraverso questa storia che l’Impero e il governo britannico hanno cercato di mettere all’Indice dei crimini di stato. Il colonialismo politico britannico in Kenya è ufficialmente finito nel 1963, ma da allora continua e si è intensificato quello economico e militare. È l’altra faccia di Giano bifronte in versione epica britannica. L’epopea continua, come da manuale neocoloniale, e il Kenya, che a differenza di altri paesi africani non possiede giacimenti di diamanti o grosse riserve petrolifere ma come gateway verso l’Africa Centrale e il Mediterraneo è in una posizione geopolitica strategica, è stato col tempo invaso e colonizzato, a indipendenza avvenuta, da una miriade di brand occidentali e dal gotha economico britannico.

Di questa costellazione fanno parte gli azionisti britannici della Barklays Bank of Kenya, della Standard Chartered Bank, della Vodafone, della Equity Bank e della De La Rue, per citarne solo alcuni. D’altro canto il governo keniano guadagna circa 2,5 miliardi di scellini l’anno dal British Army Training Unit in Kenya (Batuk) per le attività di quest’ultimo nei campi di addestramento a Kifaru a Nairobi e a Nanyuki Showground presso l’Archer’s Post, 80 km da Nanyuki. Mentre una riforma agraria non è stata ancora fatta e – a dispetto del ricco hub economico-commerciale di Nairobi – latrine, fogne a cielo aperto e povertà giovanile fanno da cornice alle spiagge bianchissime per ricchi turisti e spingono inesorabilmente le popolazioni locali verso i movimenti separatisti.


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