Una norma salva-Silvio nel decreto sulle carceri

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LO STESSO messaggio il Cavaliere l’ha fatto recapitare anche a Enrico Letta — nell’entourage del leader Pdl si parla di una conversazione diretta tra i due — volta a rassicurare il premier sulla navigazione tranquilla del governo «nonostante l’attacco dei pm contro di me».
Eppure, dietro la facciata da “force tranquille”, dietro la nuova strategia difensiva affidata al principe del foro Franco Coppi, qualche manina sarebbe già all’opera con i metodi di sempre. Quelli delle leggine ad personam. Ci sarebbe infatti un “emendamento-fantasma”, un codicillo ancora non precipitato in alcun testo formale ma pronto a spuntare all’improvviso sul primo vettore utile, magari nei primi due decreti utili: quello sulle carceri della Cancellieri o quello sulla sicurezza di Alfano, visto che ormai i due provvedimenti da ieri sono ufficialmente separati. La norma-ombra dovrebbe intervenire sugli articoli 28 e 29 del codice penale, quelli che disciplinano l’interdizione dai pubblici uffici. Proprio la pena accessoria a cui è stato condannato Berlusconi nel processo Mediaset. Si tratterebbe semplicemente di agire aumentando gli anni di pena che rendono obbligatoria l’interdizione, oppure escludendo alcuni reati per l’applicazione della pena accessoria. Insomma, se anche il Cavaliere perdesse in Cassazione, potrebbe sempre restare in Parlamento.
Dell’emendamento-fantasma si parla con circospezione nel governo, c’è chi sostiene di averlo visto materialmente. Ed è un fatto che il Consiglio dei ministri, che si sarebbe dovuto riunire oggi, è slittato a mercoledì. Ed è la seconda volta che il testo sulle carceri viene rimandato da una seduta all’altra per «divergenze di opinioni» tra il Viminale e la Giustizia. Che sia proprio l’emendamento-fantasma l’oggetto della disputa? Anche perché la parte che riguarda le pene alternative al carcere è già chiusa e non giustifica questo slittamento: si tratta di quattro articoli che aumentano la possibilità della liberazione anticipata, del ricorso al lavoro esterno e aprono le celle ai condannati per reati legati allo spaccio di stupefacenti. E tuttavia, se anche il testo venisse licenziato dal governo senza l’emendamento- ombra, nulla vieta che la stessa manina possa ripresentarlo in Parlamento. Del resto che il decreto carceri sia diventato un oggetto del desiderio lo dimostra il tentativo di Niccolò Ghedini che ieri l’Ansa ha portato alla luce. Il legale di Berlusconi voleva l’inserimento di una norma che prevedesse la possibilità di vedersi riconosciuta la detenzione domiciliare per reati con pena fino a 10 anni. Nel testo sulla messa alla prova questa possibilità viene riconosciuta solo per reati con pene fino a 6 anni.
Se la strategia difensiva del Cavaliere oscilla fra il virtuosismo giuridico di Coppi e il ricorso alla leggi ad personam, la stessa incertezza c’è sul destino del governo Letta. È vero che Berlusconi ha assicurato al premier di non voler ritirare la delegazione del Pdl, ma è anche vero che ieri il clima si era decisamente fatto più burrascoso. Il leader del Pdl si sente infatti «ingannato » e ce l’ha con tutti. Ce l’ha con la Consulta, ma ce l’ha anche con il capo dello Stato che non l’avrebbe tutelato. Insomma, Berlusconi inizia a sospettare che la pacificazione riguarda tutti tranne uno, proprio quello a cui servirebbe di più. Ma è anche consapevole di non poter provocare una crisi su un suo problema personale di giustizia. Per questo tutto il focus si è
spostato adesso sui temi economici, gli unici che interessano agli elettori in questo momento. È lì che arriverà, se arriverà, il colpo mortale. «Noi — spiega Daniele Capezzone citando il motto olimpico – vogliamo un governo citius, altius, fortius.
Ma se non fa quello che abbiamo promesso in campagna elettorale che ci sta a fare?». All’obiezione che non si trovano sei miliardi di euro per stoppare Imu e Iva, il presidente della commissione finanze risponde scrollando le spalle: «Ma davvero ci vogliono far credere che non si possono tagliare 6 miliardi? Sono 1/133esimo della spesa pubblica, lo 0,75% del bilancio dello Stato. Suvvia, non scherziamo».

 

 


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