CERAMI Addio all’allievo di Pasolini che disse “La vita è bella”

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È morto ieri all’età di 72 anni Vincenzo Cerami. Il grande sceneggiatore e scrittore italiano, nato a Roma il 2 novembre 1940 e candidato all’Oscar nel 1999 per il film La vita è bella con Roberto Benigni, era malato da tempo. «Con il suo estro creativo e il multiforme talento, ha dato un contributo fondamentale alla nascita di opere che rappresentano pagine memorabili nella storia della cultura del nostro Paese», ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Una figura straordinaria per la cultura dell’Italia», ha rimarcato il ministro dei Beni Culturali, Massimo Bray. «Vincenzo era un grand’uomo oltre che un grande sceneggiatore. Mi ha insegnato molto come lavoratore del cinema e come persona», ha detto invece il regista Gianni Amelio, che con Cerami ha scritto i film Colpire al cuore, I ragazzi di via Panisperna e Porte aperte.
I funerali di Vincenzo Cerami si svolgeranno domani alle ore 10.30 presso la Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo, a Roma. Sempre domani ci sarà lutto cittadino a Spoleto, dove Cerami era assessore comunale alla cultura.
«Sono nato il due novembre del 1940 e tutti gli anni, nel giorno del mio compleanno, mia madre mi portava al cimitero davanti ad una lapide su cui c’era scritto “Vincenzo Cerami”: porto il nome di un fratellino che non ho mai conosciuto»… Quante volte nei suoi monologhi teatrali, salendo lui stesso sul palcoscenico, Vincenzo Cerami ha esorcizzato così la morte e adesso che è arrivata per davvero sarà lui il primo a non crederci.
Anche chi non lo ha mai letto conosce il titolo del suo libro più fortunato, quel Borghese piccolo piccolo uscito nel ’76, da cui Monicelli trasse poi il film con Sordi. Il primo a segnalarne l’esistenza fu Pasolini in un articolo sul Tempo illustrato poi raccolto in Descrizioni di descrizioni.
Pasolini parlava del dattiloscritto e non ebbe modo di vedere il libro pubblicato. Fu proprio Cerami pochi giorni dopo la morte violenta di Pasolini il 2 novembre del ’75, a prendere il suo posto al congresso del Partito radicale che si svolgeva a Firenze e a leggere l’appunto che Pier Paolo aveva preparato. In fondo era il suo allievo prediletto: Pasolini aveva insegnato lettere nella scuola media di Ciampino frequentata da Cerami, ma poi Cerami aveva collaborato con lui fin dagli anni Sessanta per alcuni film e in seguito avrebbe sposato sua nipote Graziella Chiarcossi.
Quando si pensa al Cerami uomo di cinema vien subito fuori ovviamente il nome di Benigni, dal Piccolo diavolo a La vita è bella, ma Cerami, oltre che con Pasolini, ha lavorato anche con Gianni Amelio, Marco Bellocchio, Giuseppe Bertolucci, Francesco Nuti, Antonio Albanese e molti altri ancora, alternando, un po’ come il suo maestro, cinema, letteratura e teatro spesso, per non dire quasi sempre, lavorando con Nicola Piovani e non è un caso che, il mese scorso, al suo posto abbiano ritirato il David di Donatello alla carriera proprio Benigni e Piovani. Proprio Benigni ieri ha voluto ricordarlo con queste parole: «Aver conosciuto Vincenzo Cerami è stato un regalo che qualcuno mi ha fatto e non so chi sia. A volte ringraziavo a caso, un regalo grande. Come mi piaceva stare insieme a lui! Gli ho voluto un bene che non c’è verso dirlo. Scrittore, rugbista, sceneggiatore, ballerino di twist imbattibile, poeta. Mi ha insegnato come si fa a far battere il cuore alla gente. Che bellezza essergli stato amico. Che regalo! Grazie Vincenzo, per te il mio più bel sorriso».
Se Pasolini aveva puntato gli occhi sul sottoproletariato e sulle sue innate virtù, Cerami aveva invece, con Un borghese piccolo piccolo, indagato una classe sociale dai confini incerti, in qualche modo anch’essa primordiale, pronta com’era a farsi giustizia da sola e a difendere i traguardi raggiunti con le unghie e con i denti. La storia dell’impiegatuccio Giovanni Vivaldi è nota: briga in ogni modo per far entrare il figlio al Ministero dove lui stesso lavora da sempre, non esita ad iscriversi alla massoneria per aiutarlo, ma proprio il giorno degli esami il ragazzo viene colpito a morte da una pallottola vagante, sparata durante una rapina. Il romanzo vive tra il grottesco
(il Ministero, l’iniziazione alla massoneria) e la spietata durezza della cronaca nera. Giovanni è vittima, ma non esita a farsi assassino uccidendo il ragazzo che ha ucciso suo figlio. Un “fattaccio” non c’è dubbio e Fattacci Cerami intitolerà molti anni dopo quattro storie di delitti celebri, la vendetta del canaro, l’ultimo delitto del boia di Albenga, l’uccisione del nano della stazione Termini, il delitto Casati, confermando la sua passione per il nero che improvvisamente emerge dalle trame di una quotidianità difficile da svelare fino in fondo e che diventa emblematico al punto da offrire più di una chiave interpretativa. Nella prefazione Cerami, memore del Dostoevskij di Delitto e castigo, ricorda di avere deciso, «infantilmente, di diventare uno scrittore » che tenta di fornire «interpretazioni dell’età presente». Facendosi per giunta uno stile a ridosso delle cose narrate, per non dire dentro le cose stesse. Che cosa c’è in fondo all’uomo? Sembra domandarsi Cerami mentre esplora l’immenso repertorio della gente, delle gente comune che non esiteremmo a definire normale se il concetto di normalità non fosse che un fragile coperchio che può nascondere molte cose, anche degli abissi di inaspettata ferocia. Non per nulla Cerami intitolò proprio La gente (1993) una sua raccolta di racconti brevi, che sottintendono l’antropologo che va a braccetto con lo scrittore. Scrutare la gente, i personaggi anche minimi e infiniti della grande commedia umana, ecco l’impresa. In Tutti cattivi (1981) è di scena un tale Giustino che lavora al Luna Park di Roma e che finisce per incontrare nientemeno che il suo maestro di scuola elementare ormai vecchio e con una bambinetta vicino. Non è solo la vita di Giustino, uomo debole e pauroso, ad interessare Cerami ma è anche il meccanismo allievomaestro che si ripropone intatto dopo tantissimi anni.
Nel 1988 Cerami firma invece un romanzo storico, La lepre.
Gioca all’inizio in modo esplicito col grande modello manzoniano, racconta di aver trafficato con vecchie carte e di aver consultato nottetempo il suo vecchio amico Aurelio Roncaglia, il filologo romanzo in grado di spiegare tante parole antiche difficili: insomma mette in piedi ai confini meridionali dello stato pontificio, tra le cime sgretolate «dell’appennino più scemo d’Italia» la storia di Bianca Maria, una giovane prostituta affetta da sifilide e rinchiusa in un lebbrosario. È qui che la vede e se ne innamora il protofisico Tommaso che cerca in ogni modo di guarirla. È una storia piena di
grazia, leggera, divertita, anche se con inevitabili risvolti tragici. Cerami si dimostra scrittore capace di misurarsi con situazioni tra di loro diversissime, anche se presto ritornerà ai temi chiave della sua ricerca. Così in uno dei suoi romanzi più ambiziosi, di cui è troppo complicato riassumere la trama, Fantasmi (2001) si ritorna all’indagine sull’identità, la vera identità di persone qualsiasi che sembrano innocue e rivelano invece d’improvviso guizzi ferini e delittuosi. Cerami è un maestro nell’accostare queste storie di periferia urbana e nel ricostruire gli interni di queste vite, i tinelli con l’altarino della Tv, le modeste ambizioni. Che fosse considerato un maestro ormai da tempo lo si era visto con il successo dei Consigli a un giovane scrittore (1996), il libro sapienziale, ma divertito, con cui cercava di mettere a fuoco i segreti della scrittura letteraria e non solo.
L’ultimo libro di Vincenzo Cerami è un libro di poesie intitolato Alla luce del sole, uscito per Mondadori, la stessa casa editrice a cui doveva consegnare un nuovo romanzo. Moltissimi anni fa aveva scritto un poema intitolato Addio Lenin.
Sono libri di narrativa in versi, così come le canzoni di Cerami e Piovani (i famosi e fortunati Canti di scena che tante volte abbiamo riascoltato insieme) sono narrativa cantata. Ha un grande senso del ritmo Vincenzo e si incanta mentre allinea ricordi. E pensa all’Italia esclamando «Che femmina!/ Ma dove vai così di fretta,/ bellezza in bicicletta?…». Addio, Vincenzo.


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