IL PACIFISTA CHE HA CAMBIATO LA MEDICINA

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«Ciò che mi dispiace profondamente è toccare con mano l’immobilismo di un’Italia che sembra non curarsi della ricerca scientifica, esattamente come nel dopoguerra. Oggi mi fa male vedere che, dopo oltre 60 anni, la situazione di crisi della ricerca scientifica in Italia non è cambiata, anzi. L’Italia rischia, molto più che negli ’50, di rimanere esclusa definitivamente dal gruppo di Paesi che concorrono al progresso scientifico e civile». Così mi scrisse Renato Dulbecco dagli Stati Uniti, nel 2008 , e mi piace considerare queste sue parole quasi un lascito di pensiero, perché la sua lunga lettera si conclude con la lucida speranza dell’uomo di scienza che era «io non ho la ricetta per salvare la ricerca italiana, ma proprio come “emigrato della ricerca” posso dire che i modelli ci sono, anche vicino ai nostri confini. Basterebbe iniziare a riflettere». 
Renato Dulbecco passerà  alla storia come protagonista dell’era del DNA, che ha rivoluzionato non solo la medicina, ma la concezione stessa della posizione dell’uomo nell’universo. Ricevette il Premio Nobel nel 1975 per i suoi studi su virus oncogeni e Dna, e nel 1986 diede vita al programma mondiale per il sequenziamento del genoma umano, che porta il suo nome. Io lo considero anche il modello della figura dell’uomo di scienza del terzo millennio, che non può evitare di essere impegnato civilmente, perché il pensiero scientifico è un modo di essere, di vivere, e soprattutto di guardare al futuro. Per me anche un amico al mio fianco in molti progetti importanti della mia vita. Quando agli inizi degli anni ’90 fondai l’Istituto Europeo di Oncologia, pensai subito a lui per l’International Advisory Board, e da allora fu sempre molto vicino alla ricerca dello Ieo. Quando poi nel 2003 ho dato vita alla mia Fondazione per il Progresso delle Scienze è stato il primo ad aderire e, prima da Lugano e poi da La Jolla, ha partecipato a distanza a tutte le nostre iniziative: «Umberto non chiedermi più di viaggiare, ora resto qui , ma con il pensiero sono con te». 
La nostra amicizia ci faceva discutere: Renato credente, io laico, ma entrambi innamorati della scienza. La fede, per Renato, riguardava la sfera delle sue convinzioni personali, che non ha mai cercato di imporre a chi invece, la fede, non ce l’ha. Era paladino della libertà  di pensiero e di ricerca scientifica, i cui risultati ognuno poteva applicare (o non applicare) in base alle proprie convinzioni. Infatti quando nel 2000 divenni Ministro della Sanità  lo chiamai a presiedere una Commissione, composta da scienziati (anche cattolici), giuristi, filosofi e bioeticisti, per fornire un orientamento in materia di cellule staminali. La Commissione propose la soluzione chiamata Tnsa che poteva conciliare progresso scientifico e problemi etici. La metodica consiste nel prelevare un ovulo femminile, svuotarlo del patrimonio genetico e inserirvi il DNA del paziente che necessita di cure. Si creano così cellule staminali embrionali terapeutiche per il malato. La Tnsa non fu mai applicata in Italia e nessuno diede alcun seguito alle conclusioni della Commissione Dulbecco. Ma Renato, profondamente italiano, era come me cosciente che il nostro Paese ha sempre avuto un problema di cultura, e quindi continuò con me, e con chi chiunque avesse a cuore il progresso scientifico, a impegnarsi in ogni campo che richiedesse un cambiamento culturale. 
È stato con noi per ricreare in Italia una comunità  scientifica internazionale e per mobilitare la scienza nella tutela dei diritti umani. Così mi scrisse quando aderì al movimento Science for Peace. «Sono uno scienziato che ha vissuto la guerra e sono stato testimone della sua insensata e sanguinosa sofferenza. Ciò che è cruciale nelle relazioni umane è il dialogo. Se tutto il denaro e l’energia oggi impiegate nei conflitti armati fossero re-incanalate nel salvare l’umanità , potremmo vivere in un mondo davvero diverso. Gli scienziati da soli non possono portare la pace nel mondo, ma impegnandosi in prima persona e orientando altri verso questo obiettivo, possiamo sperare di avere successo».


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