?Il Pdl respinge l’attacco alla poltrona di Alfano: ci spettano più ministri

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ROMA — Chi spesso interpreta gli umori del Cavaliere come Daniela Santanchè è «basita da un dibattito così logoro, da Prima Repubblica, inviso ai cittadini: ma quale rimpasto di governo, qui c’è da rimpastare l’Europa o l’Italia muore!». Parole chiare per capire come, nella gran parte del Pdl e in cima ai pensieri del suo leader, oggi non ci siano gli equilibri da bilancino all’interno dell’esecutivo, ma più pesanti fardelli. A partire dal conto alla rovescia verso la sentenza della Cassazione, costellato da brutti presagi berlusconiani alimentati dai nuovi casi giudiziari che sembrano inseguirlo (un possibile processo Ruby bis, uno sulle Escort a Bari, uno sulla compravendita di senatori a Napoli).

Così, suonano un po’ come polemiche a riempire l’attesa, almeno in casa Pdl, quelle su un possibile rimpasto di governo a settembre. Certo, c’è Maurizio Gasparri che invita Enrico Letta a prendere «lui in mano le politiche economiche», ed è un chiaro segnale del malumore del partito rispetto al ministro Saccomanni. E c’è soprattutto il capogruppo alla Camera Renato Brunetta che, pur chiedendo un «forte patto di legislatura», sull’Avvenire rivendica un «riequilibrio» dei pesi nell’esecutivo tra Pd e Pdl, perché alle elezioni «loro hanno preso solo lo 0,3% più di noi ma hanno il doppio dei ministri».

Richiesta che viene immediatamente stoppata dal Pd: dalla segreteria Davide Zoggia avverte che «non di rimpasto, ma di tagliando al governo si sta parlando». E Vannino Chiti bacchetta duro: «Vedo un Pdl agitato, quando serve senso di responsabilità». Ma anche nel Pdl l’offensiva sul «riequilibrio» viene spiegata piuttosto come un modo per rintuzzare gli attacchi ad Alfano, rilanciando: voi volete farlo fuori? E noi chiediamo il doppio dei ministri e prendiamo di mira l’Economia.

Sì, perché lo stesso Alfano, che ieri in un’intervista sul Corriere della Sera ha ribadito la sua volontà ferrea di restare al suo posto e la sua estraneità alle accuse sul caso kazako, è e resta ad oggi il garante per il Pdl della linea, da lui ribadita, «o questo governo o il caos». Opinione condivisa dal collega Mario Mauro, secondo il quale «bisogna fare quadrato attorno ad Alfano», da Gaetano Quagliariello, da Fabrizio Cicchitto, che fa notare come l’intervista spieghi come sono andate le cose in una «situazione drammatica», che però «è stata strumentalizzata non solo dall’opposizione, ma all’interno del Pd in modo assolutamente inaccettabile».

Tutto questo, mentre sullo sfondo resta l’appuntamento della Cassazione. Con il fiato sospeso, nel Pdl si attende con poco ottimismo il verdetto, anche perché sarebbe lo stesso Berlusconi a dirsi scettico. Per cui, non sapendo nessuno ancora con certezza quale sarebbe la reazione del Cavaliere in caso di interdizione o peggio ancora di arresti, la linea è cautela e toni bassi: «Non dobbiamo offrire il fianco ad alcuna inutile polemica», predica Anna Maria Bernini. D’altra parte, nei ragionamenti a tutto campo di Berlusconi c’è la consapevolezza che, in caso di condanna, con le dimissioni di massa dei parlamentari il voto si otterrebbe, ma c’è la paura che dallo scontro totale potrebbero arrivare colpi ancora più duri: il carcere, l’assalto alle aziende, l’azzoppamento di qualunque suo candidato, compresa la figlia Marina che tanti vorrebbero in campo.

Ma in caso di condanna, il contraccolpo per un Pdl improvvisamente acefalo, con un segretario colpito e a rischio di guerre intestine, innescherebbe comunque un meccanismo pericolosissimo per il governo. Per cui, in un quadro così delicato, nessuno se la sente di interpretare Berlusconi, e parla «a titolo personale» la Santanchè quando annuncia che «se verrà impedita la rappresentanza politica al nostro leader, non me ne starò certo con le mani in mano…».


Paola Di Caro


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