Emendamenti a pioggia e chiamata alle urne Il «partito anti tagli» pronto alla resistenza

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ROMA — «Al voto, al voto!» è il grido che risuona da Belluno ad Agrigento. A destra come a sinistra. «Adesso il ministro dell’Interno Angelino Alfano deve indire al più presto nuove elezioni per le Province, a cominciare dagli enti commissariati», invocava il capogruppo del Pdl alla Regione Veneto Dario Bond appena letta la sentenza della Consulta che ha azzerato l’azzeramento dei consigli provinciali decretato dal governo di Mario Monti. D’accordo con lo stesso presidente dell’Unione delle Province Antonio Saitta, del Pd, il quale intimava al governo di «sanare immediatamente la sospensione della democrazia»: con il ricorso alle urne, appunto, «anche in via straordinaria». Tanto basta per avere un’idea di quanto sarà accidentato non soltanto il percorso del disegno di legge costituzionale presentato da Enrico Letta, ma soprattutto quello del provvedimento varato ieri dal consiglio dei ministri per svuotare le Province di poteri privandole anche del rango di enti eletti direttamente dai cittadini. Le pressioni perché si vada a elezioni prima dell’eventuale approvazione della riforma sono fortissime, contando sul fatto che il voto possa rappresentare un micidiale grimaldello in grado di far saltare tutto. E qui gli schieramenti politici c’entrano davvero poco. A parole, sono tutti d’accordo: quando però si arriva al dunque, il partito delle Province si dimostra granitico e imbattibile. Alla fine dello scorso mese di marzo, quando ancora le riforme del governo Monti erano pienamente vigenti, nulla ha impedito che a Udine si votasse per il rinnovo del consiglio provinciale: in virtù del fatto che la norma nazionale che avrebbe impedito le elezioni non era stata recepita (nonostante fosse previsto) da una legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ma a dare fiducia a chi si oppone strenuamente all’abolizione degli enti che da anni tutti dicono di considerare inutili non è questo precedente. Sono i tempi dell’iter legislativo nel nostro Parlamento, dove il meccanismo del bicameralismo perfetto può mandare alle calende greche anche i provvedimenti più semplici: figuriamoci una legge complessa come quella presentata ieri dal ministro degli Affari regionali Graziano Delrio, non priva di passaggi politicamente delicati.

I tempi sono perciò strettissimi. Sette, otto mesi al massimo, sempre che nel frattempo si riesca a resistere alle spinte di chi vuole rinnovare i consigli delle 21 Province commissariate nelle Regioni a statuto ordinario. Dopo la sentenza della Consulta, che ha riportato questo gioco dell’oca alla casella iniziale, niente sulla carta lo impedirebbe. Se non il buonsenso, che però non sempre abbonda. Parliamo di enti quali la Provincia di Vicenza o di Varese, affidate agli ex presidenti leghisti Attilio Schneck e Dario Galli, ma anche di quelli che dovrebbero essere trasformati nelle famose città metropolitane, come la Provincia di Roma: retta ormai da ben sette mesi da Umberto Postiglione, il quale ricopre contemporaneamente il ruolo di prefetto di Palermo senza che tale sovrapposizione di incarichi faccia sorgere obiezioni.

Gli otto mesi sono quelli che separano la torrida fine di questo luglio alla prossima primavera, quando scadranno ben 53 consigli provinciali. Fra gli enti che dovrebbero andare al voto, oltre alle future città metropolitane Milano, Firenze, Bologna, Torino, Venezia, Napoli e Bari, ci sono anche Bergamo, Padova, Parma, Prato, Brescia, Verona, Modena, Piacenza, Ferrara, Siena… Escludendo che per quell’epoca la riforma costituzionale possa essere già approvata, se il Parlamento non avrà licenziato neppure il disegno di legge messo a punto da Delrio, difficilmente si eviteranno le elezioni. Non resta che consigliare al ministro degli Affari regionali di prepararsi ad affrontare la guerriglia. Che potrebbe essere addirittura più insidiosa di quella che a dicembre affossò le residue speranze per gli accorpamenti progettati da Filippo Patroni Griffi. Memorabile la seduta del Senato durante la quale gli piovvero addosso 700 emendamenti. Alcuni semplicemente strepitosi, come quello per risparmiare dalla fusione due Province che condividessero un confine inferiore a 25 chilometri di lunghezza: Viterbo e Rieti. Presentato dall’allora relatore del Pd, Enzo Bianco, ex margheritino. Per evitare che la margheritina Rieti venisse fagocitata dalla pidiellina Viterbo?

Per quanto indebolito rispetto a quella battaglia campale, in Parlamento il PtP, Partito trasversale delle Province, è vivo e vegeto. In Senato, per esempio, Delrio troverà ancora uno dei più potenti alfieri della causa provinciale. Ovvero, il senatore irpino Cosimo Sibilia, già presidente della Provincia di Avellino che si oppose strenuamente all’integrazione con Benevento. Alla Camera, invece, ci sono ben due onorevoli ex presidenti dell’Unione Province italiane: Fabio Melilli, del Partito democratico, e Giuseppe Castiglione, del Popolo della libertà, entrambi già alla guida degli enti di Rieti e Catania. Il secondo è anche collega di governo di Delrio. Sottosegretario all’Agricoltura, per la precisione. Ma in Parlamento gli ex presidenti di Provincia non mancano davvero. Da Edmondo Cirielli (Pdl, Salerno) a Luigi Cesaro (Pdl, Napoli). Da Enrico Gasbarra (Pd, Roma) a Davide Zoggia, responsabile degli enti locali del Pd, Venezia). Per non parlare di quanti hanno avuto incarichi diversi, come i leghisti Matteo Bragantini e Gianluca Buonanno: l’uno ex assessore della Provincia di Verona, l’altro ex vicepresidente di quella di Vercelli. Oppure l’ex ministro dell’Agricoltura Francesco Saverio Romano, assessore a Palermo ancora nel 1994, mentre Basilio Catanoso era invece consigliere provinciale per il Msi a Catania. Tempi lontani. Ma mai quanto quelli in cui il tesoriere dei Ds Ugo Sposetti guidava la Provincia di Viterbo: correva l’anno 1978.

Tanti ex presidenti di giunta provinciale in Parlamento, ma tanti ex parlamentari anche fra i governatorini. A Viterbo c’è l’ex deputato nazional alleato Marcello Meroi. A Caserta l’ex onorevole del Pdl Domenico Zinzi. A Brescia e Bergamo i due ex parlamentari leghisti Daniele Molgora ed Ettore Pirovano. A Cosenza l’ex deputato del Pd Gerardo Mario Oliverio: stesso partito del suo ex collega Daniele Bosone, ora presidente a Pavia. E come non ricordare Guido Podestà? Per quindici anni europarlamentare, e uno degli uomini più vicini al leader del Pdl Silvio Berlusconi, che l’ha voluto presidente della Provincia di Milano. Fra tutti loro, paradossalmente, quello che rischia lo smacco peggiore. Come ha raccontato giovedì su questo giornale Lorenzo Salvia, nella legge varata ieri dal governo c’è una norma che consegnerebbe la sua Provincia al sindaco di Milano Giuliano Pisapia. E proprio alla vigilia dell’Expo.

Sergio Rizzo


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