Gli avversari nervosi confermano la tenuta della maggioranza

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L’episodio è rivelatore. In qualche modo, è la metafora di un’opposizione che tenta di delegittimare il governo e disegna scenari catastrofici sperando nel voto anticipato. Ma deve fare i conti con istituzioni e partiti consapevoli dei rischi di una crisi ulteriore per l’Italia, e decisi a scoraggiare qualunque disegno che abbia come obiettivo l’instabilità.

Da questo punto di vista, la giornata di ieri è un punto a favore del premier, Enrico Letta. Si doveva votare il vicepresidente della Camera, e il Pdl aveva indicato Daniela Santanchè, fra qualche malumore sottovoce dello stesso Pdl, e l’ostilità esplicita del Pd. E sembrava che sulla votazione si potesse rompere la maggioranza trasversale che sostiene il governo. E invece, piuttosto che sfiorare l’incidente si è preferito, con l’accordo di tutta la coalizione, un rinvio: anche se formalmente la candidatura rimane in piedi e non ha alternative. «Sulla Santanchè nessun passo indietro», assicura il vicepremier e segretario del Pdl, Angelino Alfano. «Anzi, si va avanti».

Ma senza dichiararsi guerra. L’ennesimo rinvio della nomina viene accolto negativamente da Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, come una «pagina non bella. Non vedo come si possa mettere in discussione il diritto del Pdl di scegliersi in autonomia uno dei propri parlamentari. D’altronde se è valso per Di Maio vicepresidente, (un grillino, ndr) non penso si possa cambiare ora metro di valutazione». Ma a dirlo è lo stesso Casini che il giorno prima, rimbeccando le critiche del suo alleato Mario Monti a Enrico Letta, ha detto che il premier «va aiutato». Il secondo indizio incoraggiante per palazzo Chigi viene dal nervosismo crescente di Matteo Renzi, sindaco di Firenze e aspirante leader del Pd.

Ieri Renzi si è sfogato sulla Rete, accusando i vertici del partito di assicurargli in privato che lo candideranno alla presidenza del Consiglio «come fossi un bambino bizzoso»; e di prepararsi invece a sabotare la sua marcia al vertice. «Lo conosco il giochino: i capicorrente romani prediligono lo sport del tiro al piccione. E io non ho molta voglia di fare il piccione», dichiara Renzi chiamando in causa il segretario del Pd, Guglielmo Epifani, che continuerebbe a glissare sulla data del prossimo congresso: quello che il sindaco vuole sfruttare come trampolino di lancio. È un’operazione che cerca sponde in spezzoni di altre forze di maggioranza.

Eppure fatica a prendere corpo. Massimo D’Alema, pure indicato come suo potenziale alleato, lo invita ad aspettare le primarie. Ma la realtà che Renzi vede sempre più concreta, e che provoca la sua irritazione, è quella di un Pd intenzionato a non mettere a rischio il governo presieduto dal suo ex vicesegretario: anche perché significherebbe il caos anche istituzionale, oltre che economico. Per quanto costretto a barcamenarsi fra interessi contrastanti e vincoli europei, l’esecutivo di Letta rimane senza alternative. E le scommesse sulla sua durata partono semmai dall’autunno, per l’incognita dei processi a Silvio Berlusconi. Gli avversari dicono che è capace solo di rinviare le scelte, e in qualche caso è così. Ma un’altra soluzione non c’è: a meno che non si pensi alle macerie sognate da Grillo.


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