Lo stato libero di Wi-fi

Loading

Questa è una storia di innovazione senza permesso. Di pionieri che hanno scommesso sul web in mobilità quando nessuno navigava nemmeno col pc. Di visionari che si sono battuti per il wi-fi quando era praticamente fuorilegge. Di amministratori che hanno rischiato il posto investendo sulle reti civiche libere di nascosto dai rispettivi sindaci. Questa è la grande storia del wi-fi italiano che è sopravvissuto alla infinita ignoranza digitale della nostra classe politica e oggi conta almeno 24 mila hotspot. Ventiquattromila: sono tanti, come i baci di Celentano. E sono cresciuti contro tutti. Sì il wifi è rock. Questa è una storia fatta di tante piccole grandi storie, ma è giusto iniziarla con una immagine che racconta meglio di tutte perché è stato tanto difficile in Italia navigare senza fili.
IL PIONIERE.
Nel 2004 a Parma un gruppetto di ragazzi decide di puntare sul wi-fi e con i soldi delle rispettive liquidazioni, 25 mila euro in tutto, fondano Guglielmo. Qualche mese dopo arriva la Pisanu, il decreto antiterrorismo che impone fra le altre cose di dare la fotocopia del documento per navigare. Fine? «Decidemmo di regalare gli hotspot agli alberghi per movimentare il mercato», ricorda Giovanni Guerri, «ma neanche gratis lo volevano. Ci dicevano che internet non lo chiedeva nessuno». Otto anni dopo Guglielmo gestisce una rete di 2314 hotspot di negozi, hotel e pubbliche amministrazioni, ha oltre due milioni di utenti registrati, 15 dipendenti e un fatturato di 2 milioni di euro.

IL SOGNATORE. Nel 2005 a Trento Massimiliano Mazzarella cambia vita: ha 27 anni, da otto lavora nella ditta del padre come assemblatore di pc e l’anno prima con un gruppo di giovani imprenditori ha fondato Futur3. Ai suoi soci dice: «Facciamo una rete wi-fi gratuita che copra tutto il Trentino e si ripaghi con la pubblicità». Oggi in Trentino c’è un hotspot ogni 300 abitanti che si connettono gratuitamente in cambio di spot, coupon, sondaggi di clienti come Feltrinelli, Mediaworld, Volkswagen. Ma il Trentino non basta: a Milano Futur3 ha 50 mila utenti e fra i 300 hotspot, ci sono 100 edicole. Ah: nel frattempo Massimiliano ha assunto il papà.
Son segni.
GLI STUDENTI
Se non ci fossero stati i sedicimila studenti universitari, Ferrara non avrebbe la rete wi-fe: ti autentichi con un sms e navighi 24 ore su 24. E invece il 17 aprile 2009 il servizio è partito contando sul fatto che almeno gli studenti non c’era bisogno di autenticarli come chiedeva la legge visto che l’uni-
versità già sapeva chi fossero. Quanto ai turisti, bastava tenere aperto l’ufficio informazioni anche nel weekend…
I FEDERALI
Il 30 novembre 2010 nella sede dalla provincia di Roma a palazzo Valentini si firma un accordo a suo modo storico: tre belle esperienze di wi-fi pubblico si uniscono in Free Italia Wifi. In pratica nel comune di Venezia, nella provincia di Roma e nella regione Sardegna si naviga con la stessa password. È l’inizio di una federazione alla quale hanno aderito i comuni di Torino, Genova e Pisa, la regione Friuli Venezia Giulia, le province di Prato e Firenze e tanti altri. Totale: oltre mezzo milione di utenti per 2707 hotspot. Ma qui vale la pena sottolineare che dietro quel protocollo c’era la cocciutaggine di un gruppo di civic hackers.
Ovvero persone appassionate di tecnologia pronte a tutto per svecchiare la propria amministrazione. A Roma per esempio il servizio era partito con un hotspot a Villa Borghese con la scusa che si trattava di uno spazio chiuso. Mentre a Venezia era stato usato il fascino delle Calamite, “nonnine digitali” che dovevano far passare il messaggio che la rete non è una cosa per giovani. Trucchi a fin di bene.
I PICCOLI
In questa rivoluzione colpisce il ruolo giocato da comuni piccoli o piccolissimi. Fra i primi, c’è Prato. Qui l’assessore provinciale Alessio Beltrame ingaggia sul tema del wi-fi tutta la cittadinanza. Il presidente del tribunale partecipa per snellire le code in cancelleria, la Questura per offrire un servizio agli immigrati, le scuole perché gli studenti lo pretendono e così via. Oggi Prato ha 150 hotspot, una densità record. Fra i comuni piccolissimi
c’è San Giovanni in Persiceto, nel bolognese. Qui come assessore all’innovazione c’è un giovane esponente della scena digitale italiana, Dimitri Tartari. È lui ad inventarsi una partnership pubblico-privati che oltre al wi-fi copra anche la mancanza di rete internet. I comuni della zona mettono a disposizione torri, tetti, tralicci e i privati fanno il resto. Risultato: 27 hotspot entro l’anno.
LE NUVOLE
Sono almeno due. La più grande è a Firenze. Qui un professore del Politecnico di Milano si è inventato una nuvola di hotspot di sei ettari: copre tutto il centro cittadino, e si può navigare da una via all’altra senza scollegarsi mai e guardandosi persino un video su YouTube. Questa rete di reti il professor Giovanni Menduni l’ha letteralmente costruita a mano, issandosi sulle scale per montare gli access point, ruotandoli mille volte per aumentarne il raggio di copertura. La seconda nuvola è a Napoli dove il wi-fi è partito grazie al successo della Coppa America. Quando si è saputo che la più importante competizione velica del mondo sarebbe sbarcata nel golfo, il wi-fi è diventato obbligatorio. Come fare senza soldi? Con la fantasia. Un bando per far pagare e gestire gli hotspot ai privati che devono offrire connettività gratis in cambio di pubblicità. Ha vinto una azienda di Giugliano, Wiphonet. Ora vedremo come va.
I RIBELLI
Sono i consiglieri della regione Piemonte che nel 2011 hanno approvato una legge che ha levato qualunque autenticazione per gli hotspot regionali. Oltre 36 mila connessioni negli ultimi cinque mesi. Ma la notizia è un’altra: «Sapete quanti abusi o cattivi usi della rete abbiamo registrato in due anni?» domanda l’attivista Fabio Malagnino. Nessuno.
GLI STARTUPPER
Nel 2011 a Mattinata sul Gargano, Massimo Ciuffreda e il suo amico Michele che da un paio di anni provano a sbarcare il lunario portando fisicamente Internet sui tetti pugliesi, decidono di scommettere tutto sull’abbinamento del wi-fi con Facebook. Invece di procedure complesse, con Wi-Man chiunque si può registrare con un clic, dando le credenziali usate sul social network. È facile, è gratis e in cambio chi offre la connettività ha i dati di chi naviga e può fare offerte commerciali. Funziona anche in Europa.
LA MANSARDA
È quella di Martino Massalini, 28 anni, Pesaro. Qui monta il primo hotspot. Oggi nelle Marche ne gestisce 350 con la sua WiSocial. Ti connetti con un tweet, un mipiace e un check-in. E lo usano i comuni di Pesaro e Sinigallia.
IL FUTURO
Il primo hotspot pubblico forse è quello di Bologna, piazza Maggiore, Ufficio Relazioni con il Pubblico: nel 2005. Oggi a Bologna ce ne sono 64 che servono seimila utenti al mese. Ma soprattutto nel 2012 il consiglio comunale ha approvato una proposta della giunta che stabilisce che mettere un hotspot è obbligatorio per ogni bar o ristorante che voglia avere dei tavolini all’aperto. Dal wi-fi vietato al wifi obbligatorio la strada è stata lunga ma ne è valsa la pena.


Related Articles

Istruzione, sanità  e welfare, sfilano i beni comuni

Loading

SCUOLA Oggi a Roma alle 14 la manifestazione del Coordinamento nazionale dei docenti

«Disarmare i mercati», quindici anni dopo

Loading

FINANZA Da James Tobin a Porto Alegre
Avere ragione troppo presto equivale ad avere torto. Ovvero: adesso che undici paesi dell’Unione europea (Italia inclusa, incredibile) hanno detto sì all’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie, o Tobin Tax, molti di quelli che presero le manganellate a Genova, nel 2001, avrebbero motivo di dirsi: avevamo ragione noi.

Diritti digitali e privacy. Il business dei big data

Loading

Saggi. «La privacy vi salverà la vita» di Alessandro Curioni per Mimesis

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment