Riforme costituzionali, rinvio a settembre

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ROMA — Rinviato a settembre il disegno di legge sulle riforme costituzionali. Il testo arriverà nell’aula della Camera giovedì della prossima settimana ma ci si limiterà alla discussione generale. Il voto vero e proprio arriverà dopo la pausa estiva ed è stato fissato a partire dal 6 settembre. La decisione è stata presa dalla conferenza dei capigruppo di Montecitorio che, in sostanza, ha accolto la richiesta di rinvio del Movimento 5 Stelle che proprio per questo aveva fatto ostruzionismo contro il «decreto del fare», approvato faticosamente ieri dopo una seconda seduta in notturna. Incassato il rinvio i deputati di Grillo hanno deposto momentaneamente l’ascia di guerra: «Abbiamo deciso lo stop all’ostruzionismo perché abbiamo ottenuto quello che volevamo», dice il capogruppo del Movimento Riccardo Nuti, che parla anche di una grande manifestazione per spiegare il no al ddl per le riforme sostenuto dalla maggioranza.

Ma perché il rinvio? Il Movimento di Grillo aveva minacciato di spostare l’ostruzionismo dall’Aula alle commissioni. Qui i tempi non possono essere contingentati e tutti si possono iscrivere a parlare, anche i deputati che fanno parte di un’altra commissione. Sarebbe stata la paralisi e non sarebbe bastato nemmeno lavorare senza pause per tutto agosto, ipotesi peraltro vista non proprio di buon grado dai deputati della maggioranza che hanno fatto arrivare il loro malumore fino ai rispettivi vertici.

La seduta fiume ha portato ad un altro scambio di battute polemico. Fine mattinata, la parola al deputato grillino Andrea Colletti: «L’attuale presidente della Repubblica che funge da presidente del Consiglio dei ministri e forse da capo indiscusso del Pd e del Pdl deve capire che non siamo in una monarchia costituzionale con a capo re Giorgio primo…». Discorso interrotto dalla presidente Laura Boldrini: «Lei non può parlare così del presidente della Repubblica. Ne abbiamo già discusso, non può chiamare in causa il capo dello Stato». Con la replica sarcastica dello stesso deputato del M5S: «Va bene, allora lo chiamerò l’innominabile». Un episodio simile c’era stato la settimana scorsa al Senato. E in serata arriva il commento del Quirinale: «Ai presidenti delle Camere spetta di garantire, nel dibattito parlamentare, il rispetto di regole di correttezza istituzionale e di moderazione del linguaggio». Per poi aggiungere: «È invece semplicemente ridicolo il tentativo di far ritenere che il presidente della Repubblica aspiri a non essere nominato o citato in modo appropriato».

Chiusa la seduta fiume, il «decreto del fare» passa adesso al Senato dove deve essere convertito prima di Ferragosto. Alcune correzioni, però, sono inevitabili e costringeranno ad un nuovo passaggio a Montecitorio. Sarà cancellato il Durt, il documento unico di regolarità tributaria con i suoi 21 adempimenti aggiuntivi per le piccole e medie imprese. Si rimetteranno le mani sul pasticcio del tetto allo stipendio dei manager pubblici. E si limiteranno gli sconti per le multe a chi le paga subito e non a tutti quelli che non hanno perso punti della patente negli ultimi due anni. Con l’ostruzionismo in commissione non si sarebbe fatto in tempo non solo a correggere gli errori ma nemmeno ad approvare il testo così com’è.

Lorenzo Salvia


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