Le pasionarie azzurre e l’ipotesi Marina: è lei la nostra Renzi

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ROMA — Marina Berlusconi regina delle Amazzoni. Dalla «pitonessa» Daniela Santanchè a Lara Comi, a Michaela Biancofiore l’idea del Cavaliere di fare della sua primogenita la sua erede anche politica trova, innanzitutto, il consenso delle fedelissime azzurre.
Nel più ineguale dei Paesi europei dal punto di vista delle opportunità di genere, «il sergente d’acciaio», come l’Huffington Post ha definito la presidente di Fininvest e Mondadori costituirebbe, infatti, un’autentica novità. «Può essere un’icona femminista, un Berlusconi» si è chiesto il prestigioso Foreign Policy , pochi giorni fa? Ebbene, la risposta è sì: almeno per le pasionarie azzurre, questo è sicuramente auspicabile. Lara Comi ha detto: «Sarebbe un’ottima prospettiva». E Laura Ravetto: «È Marina, l’erede di Berlusconi». La Santanchè unisce a quella politica una forte simpatia da imprenditrice. L’altro ieri — dopo che Marina ha partecipato a palazzo Grazioli alla riunione con tutti i big del partito — Santanchè ha dichiarato: «Sarei contenta se per questo giro ci fosse ancora il presidente Berlusconi, ma Marina mi va benissimo. Non solo perché è donna e questo Paese ha bisogno di più donne, perché hanno il coraggio di parlare come mangiano, e poi sarei entusiasta di una donna con le capacità di Marina».
Se diventasse capo del Pdl o della nuova Forza Italia, Marina sarebbe la prima donna leader di un partito in Italia, eccezion fatta per la però assai breve parentesi di Emma Bonino al Partito Radicale. E sarebbe anche il leader di partito più giovane. Marina compie infatti 47 anni sabato prossimo e in ogni caso, secondo Foreign Policy , Marina sembra meglio attrezzata per confrontarsi con il sindaco di Firenze, 38 anni (se diventasse leader del Pd), dei vari delfini e successori. Cosa di cui è straconvinta Michaela Biancofiore, secondo cui Marina è «la Renzi, molto più seria, preparata ed affidabile del centrodestra».
I dubbi però non mancano. Sono dubbi maschili. E dubbi dello stato maggiore del partito. «Deve dirlo Berlusconi, ma deve dirlo anche il partito, perché siamo un partito», ha dichiarato Denis Verdini, dopo la condanna Ruby. Il capogruppo alla Camera Renato Brunetta ha detto senza mezzi termini che a lui piacciono le democrazie e «non le dinastie: né quelle monarchiche né quelle repubblicane». Dimenticando che negli Stati Uniti ci sono state e ci sono le dinastie politiche dei Kennedy, dei Bush, dei Clinton.
C’è anche chi, tra i parlamentari, sotto il vincolo dell’anonimato, snocciola una serie di «problemi situazionali» («che ne sarà dell’azienda?») e soprattutto «istituzionali» («con lei si perpetuerà il conflitto di interessi soprattutto perché la sentenza della Cassazione riguarda l’azienda, cioè Mediaset: si perpetuerà così anche il conflitto con la magistratura») che renderebbero inopportuno per Forza Italia affidarsi a Marina.
Nessuno mette in dubbio però che se e quando si andrà a votare, Marina B. ha un cognome che è come un brand, un marchio di fabbrica.
Maria Antonietta Calabrò


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IL PUNTO FERMO

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Insisto: conviene in questo momento, anzi bisogna, tenere ben separate la sfera dell’applicazione e difesa della legalità repubblicana dalla sfera delle opportunità politiche, vulgo sopravvivenza o meno del “governo delle larghe intese”. Le due sfere non sono reciprocamente comunicanti: chi lavora per metterle in relazione, bilanciare, equilibrare, spossare, depotenziare, lavora per il Re di Prussia, ossia contro l’Italia.

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