«L’America ha le prove. La Siria pagherà»

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WASHINGTON — Un’oscenità morale che merita una risposta, per questo il presidente Obama prenderà una decisione adeguata e «informata». Il segretario di Stato americano John Kerry ha usato toni forti per ribadire che gli Usa hanno le prove dell’attacco chimico — «su larga scala» — condotto dal regime in Siria e le hanno passate agli alleati. In un crescendo di accuse, il capo della diplomazia ha sostenuto che il governo di Assad invece di collaborare con le indagini ha creato ostacoli ed ha anche distrutto tutti gli elementi che avrebbero dimostrato il ricorso ai gas. «Ho esaminato i filmati, che avrete visto centinaia di volte. Sono un urlo nei nostri confronti… Non posso dimenticare le immagini di un uomo che cerca di salvare i figli», ha affermato Kerry annunciando che la Casa Bianca assumerà i passi adeguati contro un evento che ha provocato «choc nel mondo». Tutto questo significa che vi sarà un’operazione militare contro la Siria, un attacco affidato sopratutto ai missili da crociera lanciati dalle navi. Sull’ora X molte speculazioni: entro 48 ore o nell’arco di 10 giorni a seconda delle fonti. Resta qualche ostacolo politico. Gli Usa sono pronti però il Congresso ha chiesto, con una punta polemica, di essere consultato. In passato i presidenti hanno agito comunque. Anche i britannici devono forse parlarne in Parlamento ed è fissata una seduta per domani. Primi aerei da guerra e trasporti militari britannici sono stati avvistati nei cieli di Cipro.
Le parole del segretario di Stato hanno superato, non solo temporalmente, la missione degli ispettori Onu. Un compito apparso subito difficile. Un cecchino ha aperto il fuoco sul loro convoglio diretto a Moadihiyeh, il sobborgo di Damasco teatro dell’attacco chimico del 21 agosto. Gli spari hanno reso inutilizzabile un veicolo, ma gli investigatori hanno comunque proseguito. Chi è stato a tirare? Per il regime si è trattato di un agguato dei «terroristi», versione rovesciata dagli oppositori. Scambio di accuse che ha fatto da corona alle ricerche degli ispettori. I funzionari Onu hanno interrogato i feriti, raccolto campioni, condotto una ricognizione sul posto e avrebbero trovato «elementi utili». E questo malgrado le autorità abbiano concesso agli inquirenti solo un’ora e mezzo di tempo, poi li hanno obbligati a lasciare la zona «perché non erano in grado di assicurare la protezione». E così sei siti, quelli a Goutha, non sono stati «visitati».
Dettagli che sono un’aggravante agli occhi dei Paesi convinti che siano stati i governativi a impiegare le armi chimiche. È questo il parere di Usa, Francia, Gran Bretagna e di un gruppo di alleati regionali favorevoli al blitz. La Turchia ha fatto sapere di essere pronta a partecipare anche in assenza di un mandato dell’Onu. Leggermente mutata la posizione della Germania, fino a 48 ore fa contraria al blitz. Per il governo di Angela Merkel se sarà accertata una responsabilità dovrà essere punita. Molto dinamici gli inglesi. Hanno mosso alcune unità nel Mediterraneo meridionale e il premier Cameron ha interrotto le vacanze per tornare a Londra. Ieri ha avuto, tra l’altro, una conversazione telefonica con il leader russo Vladimir Putin che ha ribadito il suo parere: «Non esistono prove della colpevolezza di Assad».
Dichiarazioni legate al grande impegno del Cremlino per tutelare Bashar Assad. Il presidente siriano ha però ostentato sicurezza e in un’intervista ha respinto tutte le accuse. Per il leader è un insulto al buon senso sostenere che sarebbero stati i soldati a impiegare i gas. Quindi ha avvisato Washington: un’operazione militare si concluderà con un fallimento.
Guido Olimpio


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