«L’Europa sarà colpita con i gas»

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«Sono stati i terroristi ad usare quelle armi, aiutati da Stati Uniti, Regno Unito e Francia —, ha dichiarato ai media siriani il viceministro degli Esteri Faisal Al Miqdad —. Questo deve finire. E questo significa che quegli stessi gruppi useranno le armi chimiche contro la gente in Europa». Parole forse scontate per un regime assediato per ora diplomaticamente e presto, salvo colpi di scena, militarmente. Ma che confermano i timori di molti esperti secondo i quali un attacco a Damasco non solo non metterà fine alla devastante guerra civile ma scatenerà attentati contro gli Stati attaccanti. Assad è ancora forte nel suo Paese, soprattutto è protetto dall’Iran che ieri ha minacciato anche Israele di ritorsioni se la Siria verrà colpita.
L’offensiva però potrebbe non essere così imminente. Nonostante gli Usa ieri abbiano dichiarato di avere prove «consistenti» sulla responsabilità del regime siriano e Francia e Regno Unito (e ieri anche la Germania per voce della cancelliera Merkel) abbiano ribadito la necessità di agire, l’iniziale intenzione di muoversi al più presto, forse già oggi, sembra essersi affievolita. In mattinata Londra aveva presentato una bozza di risoluzione ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Usa, Francia, Regno Unito, Russia e Cina) pur sapendo che Mosca e Pechino avrebbero respinto la proposta di «autorizzare tutte le misure necessarie, compreso il ricorso alla forza, per proteggere i civili in Siria». Una mossa diplomatica, dicono gli analisti, per mostrare al mondo che un tentativo di accordo era stato fatto. Ma dopo che gli ambasciatori russo e cinese avevano respinto ogni compromesso, Londra ha rinunciato a chiedere una riunione plenaria dell’Onu. E Cameron oggi ai Comuni non chiederà l’autorizzazione all’attacco, che secondo i media britannici non sarebbe passata. Invece chiederà al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di esaminare il rapporto dei suoi ispettori impegnati a Damasco ad accertare la natura dell’attacco chimico, prima di ridiscutere un intervento. In sostanza, ha accolto la richiesta del capo dell’Onu, Ban Ki-moon: lasciare che gli ispettori terminino il lavoro, cosa che non avverrà prima di lunedì. Forse anche qualche giorno dopo, se la richiesta presentata ieri da Damasco all’Onu di indagare su presunti attacchi chimici dei ribelli verrà accettata. «Ci vorrà qualche giorno», ha confermato il ministro degli Esteri William Hague, chiedendo all’Onu di «assumersi le sue responsabilità, come negli ultimi due anni e mezzo non ha fatto». Se questo non avverrà si dovrà comunque agire, dopo l’assenso dei Comuni a una nuova mozione.
Gli Stati Uniti sembrano sempre determinati ad attaccare. Attendere il rapporto degli ispettori Onu, ha detto il consigliere per la Sicurezza nazionale di Obama, Susan Rice, «non ha senso»: «ci dirà solo che le armi chimiche sono state usate. Ma non chi le ha usate, questo già lo sappiamo». Nella notte, Obama alla Pbs ha ribadito la certezza che sia stato Assad ha usare i gas, il che richiede «una risposta internazionale» poiché lede «i trattati internazionali» e «gli interessi vitali dell’America». Ha assicurato di non volere «entrare nella guerra civile siriana» né «un altro Iraq». Ma ha aggiunto di non aver ancora preso una decisione. Oggi alcuni funzionari della Casa Bianca incontreranno i leader di Camera e Senato per un confronto: per attaccare Damasco al presidente non serve il via libero del Congresso, che deve solo essere «informato». Ma le critiche interne si sono aggiunte alla cautela dell’alleato britannico e alla convinzione di gran parte della comunità internazionale che quell’intervento lampo sia la scelta sbagliata. Una situazione sempre più complessa e delicata.
Cecilia Zecchinelli


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